lunedì 26 novembre 2007

Me lo hanno segnalato

www.calabriauno.tv Gli ho dato una sbirciatina, ma non mi pare che si distacchi molto dal resto della miriade di TV locali in Calabria.

domenica 25 novembre 2007

Genealogia

CAVALCANTI Linea dei baroni di Sartano 1.1. don Amerigo Cavalcanti da Firenze l'anno 1352 giunge in Calabria per conto della regina Giovanna.secondo il padre Fiore. Arma: d'argento seminato di crocette rincrociate di rosso. Cim. : Una zampa di cavallo d'argento ferrata d'oro, chiodata di nero. (fonte: U.Ferrari, Armerista calabrese) Wife: [--?--] 2.1. don Filippo Cavalcanti 1° barone di Sartano il 31 agosto 1363; Regio Ciambellano nel 1343 " Filippo , cameriero della suddetta reina,... ottenuto il castello di Sartano non troppo lungi da Cosenza,...stabilì in quella città la sua famiglia"P. Fiore da Cropani Wife: [--?--] 3.1. don Amerigo Cavalcanti 2° barone di Sartano investito nel 1364 e 1406 Wife: [--?--] 4.1. don Nicola Cavalcanti 3° barone di Sartano investito nel nel 1433 1442 e 1459 Wife: donna Camilla Maurelli 5.1. don Bermardino Cavalcanti dei baroni di Sartano 5.2. don Giorgio Cavalcanti dei baroni di Sartano 5.3. Giovanna Cavalcanti dei baroni di Sartano La paternità di questa Giovanna Cavalcanti dei baroni di Sartano viene indicata in L. Palmieri, "Cosenza e le sue famiglie", Cosenza, 1999, Tomo II, pag. 515 dove si dice che: "Giacomo di Tarsia ebbe in moglie Giovanna Cavalcanti, sorella utriusque congiunta di Aloisio"Confermata dal Pellicano Castagna, nella "Storia die Feudi etc.", Vol. I, pag. 194, che dice: "Giacomo di Tarsia, 2° barone di Belmonte, ebbe in moglie Giovanna sorella di Loise Cavalcanti, barone di Sartano. Una loro figlia, Sigismonda, sp. (1509) Pietro Paolo Parisio, il futuro Cardinale. Husband: Giacomo o Jacopo di Tarsia (2° barone di Belmonte), Latrucha e Santa Barbara died 5 November 1491; Capitano a guerra di CosenzaNel 1464 Re ferrante gli restituisce i feudi di Latrucha e Santa Barbara 5.4. don Loise Cavalcanti 4° barone di Sartano Wife: [--?--] 6.6. don Pietro Paolo Cavalcanti dei baroni Sartano; CAPOSTIPITE DEI DUCHI DI TORANO Wife: [--?--] born 22 February 1576; 7.10. don Giovan Tommaso Cavalcanti STIPITE DELLA CASA DI TORANO 7.11. don Vincenzo Cavalcanti nel 1542 compra il feudo di Santa Maria della Rota dall'Abbazia della SS Trinità born 22 February 1576; Wife: donna Laura Marchesini 8.11. don Scipione Cavalcanti dei baroni di Rota Wife: donna Aurea Ferrari 8.12. donna Sigismonda Cavalcanti dei baroni di Rota married don Pietro Antonio Ferrari poi barone di Cropani between 1549 and 1550. Spouse: don Pietro Antonio Ferrari poi barone di Cropani married donna Sigismonda Cavalcanti dei baroni di Rota between 1549 and 1550. 8.13. donna Laudomia Cavalcanti dei baroni di Rota Husband: don Pietro Ciaccio 8.14. don Francesco Maria Cavalcanti il 3 luglio 1577 ebbe sign. di Relevio per le terre di S. Maria la Rota e Malgalavita died 16 April 1590; Wife: donna Violante Barracco dei baroni di Lattarico 9.8. don Scipione Cavalcanti dei baroni di Rota 9.9. don Pietro Giovanni Cavalcanti dei baroni di Rota Wife: donna Violante Cavalcanti unica figlia; il 30 agosto 1622 eredita i casali di Rota e Mangalavita; sposa lo zio Pietro Giovanni 10.6. don Muzio Francesco Cavalcanti dà l'assenso alal madre per vendere il feudo a Filippo Cavalcanti barone di Caccuri Wife: donna Giovanna Cavalcanti 11.6. donna Cleria Cavalcanti dei baroni di Rota e Mangalavita Husband: don Marzio Cavalcanti duca di Caccuri 12.13. don Antonio Cavalcanti 2° duca di Caccuri 12.14. don Francesco Cavalcanti compra dal fratello i casali di Rota e Mangalavita e si intesta il 3 3 1707 died Rota Greca, Cosenza, Calabria, Italy, 1732; Wife: donna Caterina Capece patrizia di Napoli 13.12. don Filippo Cavalcanti non si intestò e morì a Rota ucciso dai suoi vassalli nel 1734 died Rota Greca, Cosenza, Calabria, Italy, 8 March 1734. 13.13. don Luigi Cavalcanti barone di Rota e Mangalavita il 25 settembre 1744 died 8 September 1760; Wife: donna Lucia Rossi napoletana 14.15. don Vincenzo Cavalcanti il 16 febbraio 1778 si intestò dei casali di Rota e Mangalavita died Lattarico, Italia, 31 January 1786; Wife: donna Isabella Capece di Lecce 15.24. donna Marianna Cavalcanti dei baroni di Rota e Mangalavita Husband: don Eduardo Pugliatti Husband: don Alessandro Nava o de Nava nobile di Reggio Calabria 15.25. don Filippo Cavalcanti ultimo intestatario il 7 novembre 1796 del casale di Rota e Mangalavita 9.10. don Giovanni Cavalcanti dei baroni di Rota 9.11. don Muzio Cavalcanti barone di Rota e Mangalavita l'11 maggio 1591; i fratelli gli cedono i loro diritti ereditari con Regio Assenso del 1617 died 21 June 1621; Wife: donna Clarice Abenante dei baroni di Cirò 10.7. donna Violante Cavalcanti unica figlia; il 30 agosto 1622 eredita i casali di Rota e Mangalavita; sposa lo zio Pietro Giovanni Husband: don Pietro Giovanni Cavalcanti dei baroni di Rota 11.7. don Muzio Francesco Cavalcanti dà l'assenso alal madre per vendere il feudo a Filippo Cavalcanti barone di Caccuri Wife: donna Giovanna Cavalcanti 12.15. donna Cleria Cavalcanti dei baroni di Rota e Mangalavita Husband: don Marzio Cavalcanti duca di Caccuri 13.14. don Antonio Cavalcanti 2° duca di Caccuri 13.15. don Francesco Cavalcanti compra dal fratello i casali di Rota e Mangalavita e si intesta il 3 3 1707 died Rota Greca, Cosenza, Calabria, Italy, 1732; Wife: donna Caterina Capece patrizia di Napoli 14.16. don Filippo Cavalcanti non si intestò e morì a Rota ucciso dai suoi vassalli nel 1734 died Rota Greca, Cosenza, Calabria, Italy, 8 March 1734. 14.17. don Luigi Cavalcanti barone di Rota e Mangalavita il 25 settembre 1744 died 8 September 1760; Wife: donna Lucia Rossi napoletana 15.26. don Vincenzo Cavalcanti il 16 febbraio 1778 si intestò dei casali di Rota e Mangalavita died Lattarico, Italia, 31 January 1786; Wife: donna Isabella Capece di Lecce 16.67. donna Marianna Cavalcanti dei baroni di Rota e Mangalavita Husband: don Eduardo Pugliatti Husband: don Alessandro Nava o de Nava nobile di Reggio Calabria 16.68. don Filippo Cavalcanti ultimo intestatario il 7 novembre 1796 del casale di Rota e Mangalavita 6.7. don Alfonso Cavalcanti premorto Wife: donna Linella Sersale 7.12. don Pietro Giovanni Cavalcanti 5° barone di Sartano investito nel 1506 died about 1529. Wife: donna Antonina Ciaccio o di Ciaccio 8.15. don Scipione Cavalcanti 6° barone di Sartano; investito nel 1529 8.16. don Ettore Cavalcanti 7° barone di Sartano married donna Lucrezia di Tarsia dei baroni di Belmonte; primogenita 1533. Wife: donna Lucrezia di Tarsia dei baroni di Belmonte; primogenita married don Ettore Cavalcanti 7° barone di Sartano 1533; 9.12. don Pietro Giovanni Cavalcanti 8° barone di Sartano erede nel 1544 testa nel 1554 died after 1554. 9.13. donna Antonia Cavalcanti 9° baronessa di Sartano ultima della linea primogenita dei baroni di Sartano erede nel 1554 testa nel 1578 died after 1578; Husband: don Ippolito Cavalcanti dei baroni di Sartano e Cannicella died 1560; 6.8. don Salvatore Cavalcanti dei baroni di Sartano; barone di Cannicella; barone di Torano nel 1536 per vendita del Principe di Bisignano died September 1548. Acquista anche la bagliva di tarsia per vendita fattagli da Tommaso Longo, con Regio Assesnso del 1525, registrato nei Quinternioni 26, al f. 204t (cfr. Mazzoleni, "Fonti ..." pag. 175)Riportano da M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi etc., vol 1 pag. 370 Wife: donna Violante de Luzzi 7.13. Giovanni Battista Cavalcanti STIPITE DEI FUTURI DUCHI DI BUONVICINO Wife: donna Anna di Tarsia dei baroni di Belmonte 8.17. don Ippolito Cavalcanti dei baroni di Sartano e Cannicella died 1560; Wife: donna Antonia Cavalcanti 9° baronessa di Sartano ultima della linea primogenita dei baroni di Sartano erede nel 1554 testa nel 1578 died after 1578; 7.14. Giovan Lorenzo Cavalcanti STIPITE DELLA LINEA CHE RIVENDICO' LA BARONIA DI SARTANO nel 1666 secondo il Pellicano 7.15. don Antonello Cavalcanti succede al padre nel feudo di Cannicella per disp. test. paterna con atto del 1 nov. 1540 per not. Napoli di macchia died 24 August 1553; Si sposa con atto 8 giugno 1559 per notaio Desideri Wife: donna Giulia Sersale 8.18. don Salvatore Cavalcanti barone di Cannicella e della bagliva di Tarsia il 23 agosto 1554 died 27 September 1591; Wife: donna Isabella Pescara dei baroni di San Lorenzo 9.14. don Francesco Cavalcanti barone di Cannicella e della Bagliva di Tarsia il 13 novembre 1592 died 9 September 1606. Wife: [--?--] 10.8. don Francesco Salvatore Cavalcanti barone di Cannicella e della Bagliva di Tarsia il 17 luglio 1625 7.16. don Aloisio Cavalcanti dei baroni di Sartano e Cannicella; Vescovo di Nusco e di Bisignano nel 1563 died after 1563.

sabato 17 novembre 2007

Fatti&Rifatti









Presto in Borsa la Polti di Bulgarograsso.
Presentata la biografia del fondatore.
Poco prima dell'imminente quotazione in Borsa della sua azienda, Franco Polti si racconta. E lo fa con un libro, presentato ieri sera all'hotel Four Season di Milano: 'Franco Polti: My Challenge. Una storia vera con le parole di Alberto Neri'.«Mia figlia Francesca vuole portare avanti quello che il padre, ossia io, ha creato. E questo mi riempie di orgoglio e soddisfazione - spiega Polti - Quotarsi in Borsa è un passo importante, significa poter gestire nuove risorse da investire sia nei prodotti sia nelle strutture commerciali».Nel libro si parla di 'challenge', sfida. Come mai' «Tutta la mia vita è stata una sfida - prosegue Polti - sofferta e travagliata. Arrivo da un paesino calabrese ai piedi della Sila, dove per andare a scuola bisognava prendere un treno a vapore alle 5 di mattina. Una sfida continua, da quando sono nato a quando poi sono diventato imprenditore e ho inventato la 'Vaporella'. Voglio pubblicare il mio libro anche in inglese perché credo che agli americani interessino i racconti dei 'self made man'».E Franco Polti è proprio il paradigma dell'imprenditore nato dal nulla. Nel 1978 ha l'intuizione della prima 'Vaporella', sei anni dopo costituisce la 'Polti Spa' e il primo stabilimento a Olgiate Comasco. Oggi, il gruppo Polti ha sede a Bulgarograsso e filiali in Spagna, Francia, Portogallo, Messico e Asia. Fattura 120 milioni di euro all'anno, è presente in 30 nazioni e vende 1,6 milioni di pezzi all'anno.
Articolo tratto dal: CorrierediComo del 17 novembre 2007




Storia di un’azienda che arraffa i contributi europei, sfrutta gli operai e poi licenzia tuttiPrendi i soldi e scappa. La lettera, indirizzata ai rappresentanti sindacali di base, a Fiom, Fim, Uilm, al ministero del Lavoro, alla Regione Calabria, all’Unione industriali, su carta ufficiale dell’azienda (con in testa il logo - “Polti sud, più facile più felici” - che, nella circostanza, suona come uno sfottò), recita quanto segue: «Vi comunichiamo che la scrivente società è costretta a procedere al licenziamento collettivo di tutti i dipendenti in forza presso lo stabilimento di Figline Vegliaturo (n. 175 unità) in conseguenza della intervenuta decisione di cessare l’attività di tale stabilimento». E più in là affabilmente chiarisce i motivi di tale drastica soluzione, «avendo deciso di far produrre in Cina (dove i costi di produzione sono significativamente inferiori) le vaporelle e il vaporettino».Fine. Viva la faccia. La Srl Polti ha concluso la sua breve vita calabrese. Spegne la luce e se ne va. Cancelli serrati. Oltre le sbarre la intravista silhouette della Vaporella giace come una farfalla infilzata e la ingombrante sagoma bianco-grigia della fu azienda-leader sembra una caserma abbandonata in mezzo a quell’informe cemento fatto di capannoni, stabilimenti, fabbriche e fabbrichette che è il polo industriale di Piano Lago, alle porte di Cosenza. La Polti che c’era una volta e adesso non c’è più.La storia ce la raccontano Alessandro e Maurizio, al bar dell’albergo dove siamo andati a sederci, l’unico luogo che troviamo aperto in queste cinque della sera di una domenica di fine febbraio, una domenica come tante altre.Una storia italiana. Una storia molto “calabrese”.Alessandro e Maurizio, 27 e 32 anni, sono due delle “n. 175 unità” cui si riferisce la lettera di licenziamento: due ex operai, cioè, della ex Polti. Due ragazzi moderni, disinvolti, belle facce; jeans, scarpe sportive, un giaccone chiaro, un giubbotto nero Replay.Incomincia Alessandro. «Se ne vanno in Cina? Ma fino ad oggi i cinesi siamo stati noi», dice. Lui entra alla Polti nel 2001 come montatore meccanico, è il suo primo lavoro, contratto a tempo indeterminato, stipendio iniziale 770 euro, che diventano 850 dopo lo scatto di qualifica (peraltro concesso in ritardo, ben oltre i termini contrattuali). Prendere o lasciare; nella azienda leader venuta dal Nord non c’è ombra di sindacato: per Alessandro, e per tutti gli altri come lui, non esiste altra chance. Anzi, la Polti è la fortuna, il “miracolo” del posto fisso piovuto non lassù a Corsico nel Milanese, ma qui dietro casa, nella propria terra. Duecento assunti (tanti ne entrano quando la fabbrica apre i battenti); e la Polti a Figline è come la Fiat a Melfi, là le tute amaranto, qui i camici blu, quasi uno status, un previlegio. Duecento ragazzi - alla Polti sono tutti molto giovani, la media è ancora oggi di 24 anni - guardano alla fabbrica di prestigio come a un approdo sicuro. Quella fabbrica bianca che macina speranze.Storia della Polti. Alessandro (nell’azienda si è fatto le ossa, ha avuto le sue prime esperienze di lotte, è stato eletto Rsu Fiom) comincia dalla fine. «Guarda i tempi. La messa in mobilità totale è del 7 gennaio 2006; la chiusura definitiva è fissata per il 14 marzo, a giorni: perfetto, a questa data - che strana coincidenza - scade infatti il vincolo dei 6 anni legato alla legge 488 di cui la Polti ha ampiamente beneficiato».Storia della Polti sud. Prendi i soldi e scappa.La Polti è la Polti e non è Agnelli, ma, come quella degli Agnelli (fatte salve le debite differenze) è in gran parte la storia di un capitalismo familistico, di una famiglia e di un tycoon che comincia da zero e fa una gran fortuna. Lui, il fondatore, Franco Polti, negli anni 70 è un piazzista di ferri da stiro professionali, originario d un paesino presso Cosenza che si chiama San Pietro in Guarano. Un travet senza arte nè parte, al quale a un certo punto viene in mente di “creare” un arnese da stiro per uso domestico, però con le stesse caratteristiche di quello professionale. E’ il classico uovo di Colombo e anche la chiave di un successo formidabile.Si trasferisce al Nord, dalle parti di Como, insieme alla ragazza che ha appena sposato, Teresa. Quella che oggi è per tutti “la signora”. Cominciarono in una cantina, la prima Vaporella - il “rivoluzionario” ferro da stiro con caldaia a vapore - nasce nel 1978; poi inventa Vaporetto, altro portento ad acqua; ed è così che nel 1984 il Franco Polti ha smesso già da un pezzo i panni del bravo artigiano e fondato la sua prima spa, con sede a Olgiate Comasco. Va avanti a gonfie vele, inventa e sforna altri prodotti, belli e perfetti e innovativi, ad alto livello tecnologico e con design tutti da made in Italy. Marcia trionfale, nasce il grande stabilimento di Bulgarogrosso presso Como (25 mila mq), impianti modernissimi, quasi trecento dipendenti, 3.500 mq di sola area produttiva. Dove vedono la luce 3.500 apparecchi al giorno per una capacità annuale di 700 mila pezzi. Vincente, competitiva, ecologica, la Vaporella diventa un marchio planetario, e la ex cantina di Polti Franco da San Pietro in Calabria è ora una multinazionale presente in tutto mondo. Il diabolico, geniale vaporetto si vende infatti dappertutto, in Algeria e in Australia, in Canada, Russia, Turchia, Gran Bretagna, Messico, Brasile, Pakistan, Cina, Singapore, Corea, ecc ecc. Diavolo di un vaporello dal manico di sughero: è da capogiro il suo monte affari annuale. E se lei è “la signora”, lui - ormai un re del vapore - è anche gran mecenate e sponsor in materia di sport: basket, calcio, ciclismo lo vedono con le mani in pasta, alla grande. Ed è ormai anche un nome che conta, nel gotha degli industriali del ricco Comasco. Lassù al Nord.Poi un giorno, improvvisamente, Franco Polti si ricorda della “sua” Calabria. Se lo ricorda improvvisamente ma non per caso, nel 1999: quando, guarda caso, si imbatte in una legge che porta il numero fortunato di 488. E quella specie di manna europea che elargisce cospicui incentivi - bei soldoni - a chi promuove investimenti al Sud. Soldoni Ue: tanti, benedetti e subito, basta aprire il capannone e tenerlo in piedi giusto 6 anni…Occasione acchiappata al volo, figurarsi; e tempestivo sbarco a Piano Lago. Nasce la Polti sud, 200 operai, nuovi macchinari, e nuovi capitali tutti piovuti a titolo di contributo pubblico. Un bel prendere.La Polti sud è lì. “Più facile più felici” un corno. Racconta Maurizio. «Era durissimo. Una catena di montaggio senza respiro, tempi sempre più stretti e veloci, otto ore come dannati. E un ambiente da dannati, appunto. Pavimento in cemento battuto, e per respirare non aria ma polvere. Anzi un concentrato micidiale di velenosi pulviscoli, mescolate insieme polveri di alluminio, lana di roccia, loctite (un collante dall’odore nauseabondo)».Protezione zero, niente mascherina, niente guanti, mani con le piaghe, tendiniti, tunnel carpale e infortuni a piovere. «Ci sono voluti mesi per riuscire ad ottenere un minimo miglioramento nelle condizioni di lavoro. Nei capannoni - continua Maurizio - d’estate si soffoca per il caldo, la gente sveniva, doveva venire l’ambulanza a prenderli (il condizionatore è arrivato solo nell’ultimo anno)». Il salario, poi, è da Sud, inferiore a quello dello stabilimento “nordico”; e quando i tre rappresentanti Rsu chiedono l’intervento Asl per un controllo sull’ambiente di lavoro, “la signora” li licenzia tutt’e tre (tra essi anche Alessandro, il giovane operaio che abbiamo di fronte).La condizione dei “camici blu” alla Polti di Figline, del resto, è già stata denunciata più volte. Scrive ad esempio “Rassegna sindacale” (Cgil) in un servizio datato 2004: «L’acqua da bere che manca, la pipì che non si può fare, i guanti da lavoro strappati e non sostituibili prima di quindici giorni, i ritmi forsennati. Colpisce ancora una volta, dopo Termini Imerese e dopo Melfi, la straordinaria “materialità” del disagio sul lavoro».E’ appunto il 2004, l’anno in cui comincia l’esternalizzazione, poi la cassa integrazione, la stagnazione produttiva; e in cui comincia la grande lotta dei 200 della Polti per salvare il posto. Una dura lotta, con scioperi anche di 15 giorni, presidi, cortei, manifestazioni cui si unisce la popolazione locale, blocchi stradali (una volta viene interrotta anche la Salerno-Reggio C.); l’ultima protesta è di questi giorni a Roma, i ragazzi di Piano Lago decisi a incatenarsi ai cancelli della Rai.«Siamo sfiduciati, continueremo a batterci, certo, ma sappiamo bene - dice Alessandro - che ormai il tempo è scaduto. Vale a dire che i miliardi degli incentivi pubblici sono stati intascati, il vincolo della 488 è finito e i 200 lavoratori non servono più, peggio per loro se sono a zero ore e zero salario». La accampata crisi del settore - questo è anche il giudizio dei sindacati - è l’alibi sotto il quale la Polti nasconde la redditizia “virata” che si chiama delocalizzazione. L’esperimento calabrese ha fatto il suo tempo, giusto i sei anni necessari per il drenaggio dei fondi. Conti alla mano, l’esperimento calabrese - l’azienda-civetta - ha fruttato un bel flusso di soldi, decine di miliardi. Senza contare l’ammontare dei contributi che lo Stato si è accollato di pagare per i primi tre anni in base alla legge 407. Esperimento riuscito. La Cina è vicina.Storia della Polti. Più che Imprenditori, Prenditori.

Venerdì, 3 Marzo 2006

venerdì 16 novembre 2007

Le belle notizie


Prof. Aldo Franco De Rose (meglio conosciuto dai noi Sartanesi come "Alduzzu i Piuzzu" )
Un Sartanese doc alla corte dei genovesi.

Nasce nel piccolo paesino di Sartano, frazione di Torano Castello, in una famiglia dedita al lavoro, onesta e dignitosa. Sin da piccolo, cresciutosi nelle vie polverose della cittadina, ha coltivato la passione per la musica, oltre alla passione per la natura, entrando a far parte negli anni “60 nel Gruppo Scout del Sartano I°, dimostrandosi una persona sempre altruista ed equilibrata. Conseguito il diploma, intraprende gli studi universitari presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Genova, laureandosi nel 1983, specializzandosi prima in Urologia nella stessa sede e subito dopo in Andrologia presso l’Università di Pisa.
Aldo Franco De Rose, da sempre svolge la sua attività clinica, nella Clinica Urologica di Genova, prima sotto la direzione del prof. Luciani Giuliani ed attualmente quella del prof. Giorgio Carmignani, da anni si dedica alla ricerca Uro-Andrologica. La sua partecipazione a numerosi congressi nazionale ed internazionali, lo portano a diventare uno dei riferimenti nazionali dell’Andrologia medica e chirurgica.
Dopo essere stato eletto per tre anni consigliere nazionale della Società Italiana di Andrologia è attualmente il Coordinatore della Sezione di Andrologia Tosco-Umbro-Ligure. Nel mese di ottobre è stato inserito nel supplemento di Class tra i migliori medici d’Italia.Si interessa da sempre alla problematica dell’eiaculazione precoce maschile e, da qualche anno, ai problemi sessuali femminili. Numerosi sono le pubblicazioni su riviste italiane e straniere. Quelle comparse questo anno, come primo autore, sono su numerose riviste italiane e sulla prestigiosa rivista americana “Urology”di febbraio e settembre.
Oltre all’amore e alla passione per la sua professione di medico, Aldo Franco De Rose, è anche Giornalista Pubblicista, iscritto all’ordine di Genova, e collabora con giornali nazionali, scrivendo numerosi articoli riguardanti le problematiche sessuali maschili e femminili , nonché l’infertilità maschile, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma soprattutto le autorità politico-sanitarie verso l’andrologo. Da oltre due anni è Direttore responsabile del giornale medico on-line http://www.clicmedicina.it/Nonostante la sua professione Aldo Franco De Rose, resta legato alla sua terra d’origine ( Sartano) e a quella adottiva (Genova), con la passione del mare e della montagna, che ne fanno un ottimo pescatore e un eccellente cercatore e conoscitore di funghi. Esperto anche di cucina, la sua specializzazione tra i fornelli sono i primi piatti quali: lasagne con la gallinella di mare; fusilli mare e monti con funghi porcini e pesce San Pietro; linguine ai frutti di mare; focaccia al formaggio. Si dedica al giardinaggio e orto. Suona il violino e la chitarra, passione ereditata da suo papà Pio.
Aldo Franco De Rose, un figlio illustre della Sartano laboriosa, un sartanese doc alla corte dei genovesi, un professionista doc donato alla sanità mondiale.

giovedì 15 novembre 2007

Gli avvocati

Il giorno 12 novembre(o forse il 13 ?), si sarebbe dovuta tenere l'udienza per decidere sul rinvio a giudizio o meno del Sindaco del nosro amato comune, come da manuale i legali che assistono il sindaco non si sono presentati, udienza rinviata al prossimo anno; gli avvocati servono anche a questo, rinviare fino a quando è possibile, con i soldi dei contribuenti naturalmente, perchè anche i rinvii hanno un costo.

martedì 13 novembre 2007

Ricevo e volentieri pubblico

Affettuosamente ad Apelle figlio di Apollo, Zeus permettendo. Apelle, non essere sempre e solo critico contro Corbelli e non essere puntiglioso su un articolo di giornale perchè sia uscito su due testate uguale o simile o quant'altro vogliasi dire. I comunicati che si ricevono vanno mandati alle redazioni che sono quelle deputate a tagliarli o a mandarli in stampa per intero. Visitando il blog, ho notato da parte Tua un certo disaccordo sulle iniziative di Franco Corbelli. Premetto che non gvolgio tirare la corda per nessuno, ma una cosa però volevo suggerirtela. Prima di criticare sempre è solo Corbelli perchè da politico grida le malefatte del nostro terittorio e non solo, sarebbe il caso di chiederci cosa fanno i politici locali del centrosinistra e del centrodestra. Tutti, dico tutti ad eccezione di Corbelli, cercano di insabbiare e zittire le problematiche locali per potersi accaparrare un pugno di consensi tra compari e comparaggi, alla faccia dei cittadini che ancora oggi li zittiscono con promesse da pinocchio. Questa è la situazione che regna nel comune di Torano Castello, perchè chi grida, naturalmente è fuori dal coro e non va nemmeno degnato di uno sguardo, mentre l'ipocrita merita attenzione altrimenti ... . Questo è quello che sta succedendo ai giornalisti che riportano non solo ed esclusivamente dei comunicati che arrivano dalle segreterie di qualche politico che ha coraggio di gridare, e meno male che c'è Corbelli che grida. Il grido di allarme riportato negli articoli, uguali e simili, vuole portare a conoscenze delle autorità competenti il grave problema che da un paio d'anni a questa parte a Sartano sta destando preoccupazione: l'aumento dei decessi per tumore. Se questo, per Te, è ciarlare a vanvera, va bene cosi, ma riguardo alle beghe personali che ricadono nel privato non interessano più di tanto, ormai il danno è stato fatto, possiamo solo porci rimedio gridando alla Corbelli. Per Tua informazione e grazie a Dio i proprietari che hanno comprato i lotti dove hanno costruito una casa, non devono temere più nessun danno, la situazione che descrivi nel tuo commento è stata sanata da alcuni anni. Cordialmente Gildo Anthony Urlandini Innazi tutto grazie per aver voluto commentare quanto da me scritto in merito all’articolo riportato nel blog, consentimi con altrettanta franchezza di precisare alcune cose; comincio dal fondo: Sono contento della notizia che gli acquirenti dei lotti edificati e non, acquistati dalla famiglia Mayerà non corrono più nessun rischio, questo ci puo tranquillizzare ma non giustifica quanto è stato fatto, con connivenze varie: amministrative e finanziarie a scapito e a rischio di chi ha investito soldi suoi, guadagnati con sudore e anni di lavoro. Vergogna-Vergogna-Vergogna. Non ho per niente detto che Corbelli ciarla a vanvera, anzi lo fa a ragion veduta, avrebbe avuto il mio plauso se avesse denunciato il fatto prima agli enti preposti e dopo ai giornali, chiamando in causa direttamente i proprietari o i gestori o gli affidatari delle strutture in questione, facendo nome cognome; non credo che qui si tratti di fatti privati e che non interessino piu di tanto, come tu dici. Credo sia ora di smetterla di pensare che se si spendono soldi di tutti noi per rimediare le male fatte dei privati sia una furbata o chi è in grado di creare le condizioni perché cio avvenga sia un supereroe. C’è un’età per gridare, una per denunciare, una per fare; la nostra età (anche anagrafica) ci impone di fare, le proteste le denunce lasciamole ai giovani lo fanno meglio di noi, e soprattutto non rubiamo loro il ruolo che gli spetta. La mia critica a Corbelli in questa e in qualche altra occasione è nel metodo, meno nel merito. Affermi di non voler tirar la corda per nessuno tanto meno per, proprio per questo mi sarei aspettato un commento sia pure minimo che aiutasse il lettore a capire il perché dello stato delle cose. Riguardo invece alla situazione di allarme e preoccupazione che si manifesta, alcuni amici e non da oggi tra le concause probabili-possibili imputano le discariche a cielo aperto che per anni sono state funzionanti nel territorio, leggasi “timpa”. Allora una classe politica degna di questo nome si sarebbe dovuta interessare da tempo di questi problemi, una amministrazione municipale degna di questo nome sarebbe dovuta e potuta intervenire, non l’hanno fatto e non lo faranno, anzi da lor Signori l’ultima amministrazione a acquistato per la modica cifra di 335.000euro il palazzo della famiglia, più qualche migliaio di mq di terreno. Per finire, convengo pienamente quando affermi ”cercano di insabbiare e zittire le problematiche locali per potersi accaparrare un pugno di consensi tra compari e comparaggi, alla faccia dei cittadini che ancora oggi li zittiscono con promesse da pinocchio.” Credimi, i nostri politici(?) locali passati e presenti ne hanno fatto largo uso, nessuno escluso, nemmeno Lui. Con cordialità

domenica 11 novembre 2007

Apelle figlio di Apollo

«Struttura abbandonata da anni. Basta un soffio di vento a portare le polveri» Pericolo amianto a Torano La denuncia di Corbelli su alcuni capannoni TORANO CASTELLO L'amianto continua a far paura. Cresce ormai a dismisura la preoccupazione dei cittadini che temono per la loro salute minacciata seriamente dalle migliaia di metri quadri di lastre in eternit che costituiscono i tetti di grossi capannoni industriali ormai fatiscenti ed abbandonati della Valle del Crati. Se nella vicina Luzzi la bonifica ed il risanamento ambientale dell'area dell'ex fornace “Dima” sono stati avviati grazie all'attenzione dell'esecutivo municipale dell'ex sindaco D'Angelo, la situazione è ormai allarmante anche a Torano Castello. A denunciare ciò che definisce “un'emergenza ambientale e sanitaria, una vera e propria minaccia alla salute dei toranesi e dei molti cittadini dei paesi della Media Valle del Crati”, è il coordinatore del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli. Si tratta di un'ex azienda agricola per l'allevamento di polli realizzata più di 35 anni fa ed ormai chiusa ed abbandonata da oltre 14 anni. Tredici grandi capannoni, un'abitazione e un ex macello per un totale di oltre dodici mila metri quadri tutti ricoperti del pericoloso eternit le cui fibre che si disperdono nell'aria - è risaputo – sono ritenute altamente cancerogene. A tal proposito il leader di Diritti Civili chiede l'intervento urgente del Ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraio Scanio, affinché si provveda all'immediata bonifica della vasta zona “minacciata dai veleni dell'amianto killer”. Corbelli invita, inoltre, l'assessore regionale all'Ambiente, Diego Tommasi, ad effettuare un sopralluogo sul posto per rendersi conto di persona dell'estrema gravità della situazione.“E' un'autentica bomba ecologica. Una situazione esplosiva e drammatica che – pone l'accento - deve essere immediatamente. Affrontata e risolta”. La vecchia azienda agricola interamente ricoperta di eternit è ubicata in gran parte in località Serramezzano. Quattro capannoni, infatti, si trovano in località Cozzo La Torre (la nota area di notevole interesse archeologico soprastante lo Scalo), a poche centinaia di metri dal fiume Crati. A Serramezzano la dimessa attività imprenditoriale sorge su una collina di fronte la popolosa frazione di Sartano che si affaccia sulla Media Valle del Crati. A poche centinaia di metri in linea d'area dal centro abitato. “L'ex azienda e Sartano - spiega Corbelli - sono sulla stessa linea orizzontale, divisi solo da un burrone. Basta un soffio di vento e i veleni di dodici mq d'eternit e amianto si riversano nel centro abitato di Sartano, di Torano e nella Media Valle del Crati, con tutto quel che di gravissimo e drammatico questo comporta. Sono circa 14 anni che quest'azienda ha chiuso e quei capannoni sono rimasti lì, abbandonati e oggetto di un provvedimento di pignoramento. Quei tetti in eternit - prosegue il leader di Diritti Civili - sono una minaccia mortale. L'amianto killer allarma e fa giustamente paura alle popolazioni locali”. Corbelli sottolinea un dato che inizia a preoccupare le gente. “E' quello, purtroppo, del numero di decessi per cancro che si sta registrando nella popolosa frazione sartanese. Non ci sono ancora studi precisi al riguardo – aggiunge ancora - che possono dimostrare il collegamento diretto di questi decessi per malattie tumorali con l'amianto killer dell'azienda agricola di Serramezzano. Ma è pressoché certo che i veleni che sprigionano quei capannoni sono una minaccia alla salute delle persone. Non si può più aspettare – sostiene con fermezza il consigliere provinciale - che altra gente continui ad ammalarsi e a morire in silenzio. Vista l'acclarata pericolosità per la salute dell'amianto è assolutamente urgente intervenire e bonificare i capannoni e mettere in sicurezza l'intera area. La salute dei cittadini di Sartano, di Torano e degli altri centri interessati della Media Valle del Crati – conclude Franco Corbelli - deve essere salvaguardata. Per questo chiedo l'intervento del Ministro dell'Ambiente ed all'assessore regionale, Tommasi, di fare un immediato sopralluogo sul posto”. Roberto Galasso Articolo pubblicato su: Il Quotidiano della Calabria di martedì 07-10-07

L’articolo sopra riportato ha qualcosa di strano, a dire ne ha piu di una, comincio con elencarne alcune. -Lo stesso articolo, uguale non simile, è stato pubblicato sul quotidiano CalabriaOra a firma Gildo Antonny Urlandini -Non viene mai menzionata l’azienda, tanto meno i proprietari di nome e di fatto. -Più che una intervista al politico locale sembra un ordine del giorno, i giornalisti si limitano a riportare e basta. Allora vediamo di guardarci dentro con la sola intenzione di fare un di chiarezza, sul perché e per come certe notizie vengono riportate e quale scopo si prefiggono. L’’azienda in questione è stata costituita dalla famiglia Mayerà, con finanziamenti pubblici a fondo perduto; come tutte le aziende costituite con soldi pubblici e non propri è andata in dissesto, fino ad arrivare al pignoramento da parte dei creditori,non solo delle aziende in questione ma anche dei terreni edificabili siti in Sartano, terreni che hanno fatto la fortuna della famiglia e fagocitato le rimesse di molti emigranti per realizzare il sogno di una casa. I suddetti terreni pur gravati da ipoteche sono stati comunque venduti, e Dio non voglia che la/le aziende di famiglia non arrivino al fallimento perché sarebbero cavoli amari per tutti coloro che hanno comprato in buona fede. Veniamo allo stato delle cose e cioè i capannoni situati a Torano Scalo e a Sartano in località Serramezzana; non so dirvi se negli anni in cui sono stati costruiti l’’uso dell’eternit era ancora consentito o meno, sta di fatto che le coperture di questi capannoni sono state eseguite con questo materiale, contenente fibra d’amianto, da anni ormai fuori legge. Attualmente detti capannoni pare certo, dico pare perché non ho certezza materiale, siano pignorati o ipotecati da una banca, a fronte dei debiti da parte della/e aziende della famiglia Mayerà. Allo stato attuale non so dirvi chi e con quali soldi dovrebbe intervenire per bonificare i siti. Certo è che senza un accertamento della pericolosità da parte degli enti predisposti non si può intervenire. La domanda delle domande è però un’altra, quei capannoni e quei terreni hanno un valore commerciale, allo stato attuale sicuramente deprezzato, perché nessun acquirente attento li comprerebbe dovendosi sobbarcare i gravosi costi della bonifica dell’eternit; allora allo stato attuale o i proprietari o la banca dovrebbero sostenere i costi della bonifica, ma bonificare perché e per che cosa? Per il grido nella foresta lanciato dall’anima candida del politico locale? Per l’alto senso della salute pubblica insita nelle banche e nei proprietari terrieri. Francamente nessuna di queste ipotesi sta in piedi. Penso che il grido sia lanciato più in alto possibile per fare in modo che diventi un caso, una emergenza di salute pubblica e che in assenza di una proprietà certa ed in grado di intervenire sia ancora il “pubblico” a dover sanare la situazione. E no mio caro candido, ingenuo bel paladino: di denaro pubblico in quell’eternit, nei terreni, nel palazzo ne è stato buttato a valanga. Veda di fare in modo che non sia ancora il denaro pubblico, e cioè Noi a dover pagare i debiti e le malefatte di Lor Signori: abbiamo gia dato.

venerdì 9 novembre 2007

Ricevo e volentieri pubblico.

"Le radici e la propria terra non potranno mai essere dimenticate. Il legame affettivo e i ricordi non possono essere cancellati dall'indifferenza o dalla lontananza, se ciò dovesse avvenire l'uomo non avrebbe più ragione di esistere". Complimenti per il blog e per l'informazione che dai ai nostri compaesani sparsi per il mondo. Mi permetto di inviarti una breve descrizione di un spaccato di vita della Sartano degli anni passati, con la speranza di farTi cosa gradita. Un carissimo e cordialissimo saluto Gildo Anthony Urlandini “I casi i mattunazzi” Su una collina circondata da ulivi fichi e vigneti, sorge il paese di Sartano, paese antico e ricco di tradizioni, che custodisce ancora adesso quasi intatte “i casi i mattunazzi”, le case di creta e paglia . Dal milleottocento in avanti, l'abitato di Sartano era costituito principalmente da casette basse costruite con mattoni crudi di creta e paglia detti “mattunazzi”, che non raggiungevano i due metri e settanta di altezza nella parte superiore. I “mattunazzi” venivano fabbricati con creta, terra rossa e paglia, che veniva impastata in delle grosse buche e poi veniva compressa in delle forme rettangolari di tre misure diverse, e cosi dopo aver fatto seccare questa massa di creta e paglia al sole, erano pronti per essere utilizzati nella costruzione delle case. Le case semplici e senza richiami architettonici, rappresentava un'edilizia povera, ma sostanzialmente necessaria ai bisogni delle famiglie. I muri portanti della struttura erano spessi , raggiungevano la misura di 70-80 centimetri, la caratteristica di queste casupole di creta e paglia, con muri così spessi, era che d'estate gli ambienti erano freschi , mentre durante la stagione fredda erano caldi. Le stanze della casa, normalmente due, avevano una grandezza di tre per quattro o quattro per cinque. Il pavimento semplice e in terra battuta oppure di mattoni cotti di “carcara”, nell'insieme aprivano i locali dove i Sartanesi abitavano. Il soffitto , “ 'ntavulatu”, era costituito per la maggior parte di tavole o di canne intrecciate,“catrizzole”, che isolavano le stanze dall'aria che proveniva dalle tegole, “ciaramili”, in terra cottae di forma irregolare, perché fabbricate a mano. La casa di “mattunazzi”, a Sartano era una caratteristica , anche perché nel meridione d'Italia, era uno dei pochi paesi ad essere costruito con mattoni crudi di creta e paglia. Questa tecnica di costruire con mattoni crudi di creta e paglia, comportava il fatto che le abitazioni erano tutte a pianterreno, rarissime la case a due piani, non potendo avere un piano superiore, per la mancanza di pilastri di sostegno. Le stanze erano cosi divise: la cucina e la stanza da letto. La cucina, era la stanza principale, dove le donne di casa svolgevano le funzioni giornaliere e dalla quale si accedeva dalla porta d'ingresso, delimitata dal “suprantu” o “supraporta”, era di castagno, verso la parte alta laterale sinistra, c'era “u purtieddru”, una specie di finestra, che si apriva durante il giorno per dare luce alla stanza. L'interno molto scarno per l'epoca, era costituito “da fucagna”, un focolare con un rialzo dove venivano poggiate e preparate le vivande che cuocevano “supa u tripidu" (treppiedi), dal forno, e da qualche nicchia che serviva per conservare il cibo, gli arnesi da lavoro, o altre cose utili, per la casa e il lavoro. Il forno che era su di un piano sopraelevato, in un angolo della stanza, aveva al di sotto un piccolo locale dove trovavano di notte riparo, galline, pecore e maiali. L'arredamento semplicissimo, senza fronzoli come oggi, era costituito da un "casciuni", dove venivano conservati cereali, salami, fichi e “ru grassu du puarcu” cioè la sugna di maiale. Poche sedie, un tavolo, la "panera", una "piattera", un "saziere", " u vintagliu" per alimentare la fiamma del fuoco e qualche stipo ricavato con delle tavole conficcate nel muro, eccezionalmente i più benestanti possedevano la "cridenza" , dove mettevano in mostra i bicchieri o vi conservavano derrate alimentari. In un angolo quasi nascosti, si potevano intravedere le "ciarre" dell'olio e del vino, poste vicino ad un sedile in mattoni crudi. Cosa che non mancava mai era la " 'nnicchiareddra" dove veniva collocata la statuina del santo con la "lampa" accessa dove ardeva "u micciarieddru", alle pareti vi erano appese le " sporte" i "panari" e le "catrizzole", mentre ad una “piartica” (pertica) che pendeva dalla “panera” gli abitanti della casa vi appendevano i vestiti, rischiarati dalla luce della lanterna ad olio. La stanza da letto era costituita dalle "cascie" (cassoni in legno) dove veniva custodito quel poco di corredo per le figlie, dal letto formato dai "vanchietti" dal "saccuni" e dalle "culunnette", una stanza da letto essenzialissima, spartana per il bisogno di gente contadina, umile e laboriosa, alle pareti si potevano vedere appese “ i figureddri”, immaginette di Santi. In un'altro angolo della cucina, o appena fuori dietro la porta, veniva conservata la legna per il fuoco, mentre dalle travi pendevano mele, pere, peperoni, formaggi e tante altre prelibatezze del mondo contadino, conservate nella “rizza” (rete). Tutto il paese di Sartano era costituito da file di case, costruite in modo continuo, muro contro muro, categoricamente di “mattunazzi”, con punti luce solo alla facciata davanti, costituiti dalla porta e da una finestra. Raramente si vedeva qualche casa più grande costruita con mattoni cotti, ed erano l'eccezione, in quanto costituite dal pianterreno e dal primo piano. Le vie del paese erano in terra rossa battuta e ciotoli, consumate dal calpestio dei sartanesi, che, come tutte le mattine, essendo un popolo prevalentemente contadino, si incamminava per i campi. Nell'avviarsi ai campi, le donne scalze con le “sporte” in testa, seguivano i mariti che sul dorso dell'asino prendeva la via per la campagna. I Sartanesi che disponevano di un pezzo di terreno vicino al paese, non avevano difficoltà, a volte, a ritornare a casa, ma quelli che erano distanti dall'abitato, possedevano una piccola casetta in campagna sempre costruita con i “mattunazzi” sulla stessa specie della casa del paese, dove restavano a dormire. Sartano, allora, era un paesino per la maggior parte dedito all'agricoltura, dove l'unica via di collegamento con i centri vicini era costituita da delle piccole “carreri” (sentieri) di terra rossa battuta e ciotoli, percorse da uomini e animali. Solo negli anni cinquanta fu costruita la prima strada asfaltata, che collegava il paese con Torano, con gli altri centri limitrofi e con la statale 19 “ a nazionali” e lo scalo ferroviario. La costruzione della strada, ha portato a Sartano molti vantaggi, infatti il collegamento portava in paese camion con oggetti di ceramica e altre mercanzie che per tanto tempo erano mancate. Si incominciarono a vedere movimenti di arti e mestieri, come “u quadararu”, che arrivato in paese, riusciva a risolvere i problemi delle donne di casa, riparando loro le pentole di rame bucate, i cantastorie per la gioia dei bambini che giocavano sotto il muro della chiesa, “u capillaru”, che scambiava ciocche di capelli con oggetti per la casa, e man mano si iniziarono a vedere tanti altri mestieri. Con il passare degli anni Sartano, conobbe in maniera considerevole come tutti i paesi del meridione d’Italia il fenomeno dell’emigrazione, ma crebbe e si sviluppo in maniera sistematica. Dopo i tanti sacrifici sofferti, soprattutto con l'emigrazione, le case di creta e paglia, o “i casi i mattunazzi”, hanno lasciato pian piano il posto alle nuove case in muratura e cemento, ma qualche casupola di “mattunazzi” ancora resiste. Oggi, Sartano, è un paese ridente e ospitale, dove solo alcune tracce delle antiche abitazioni sono rimaste in ricordo di un passato, anche se sofferto, che ogni sartanese ricorda con orgoglio, senza rinunciare alle proprie radici. (Tratto dal libro dei ricordi di Gildo Anthony Urlandini )

lunedì 5 novembre 2007

1000

Poco piu di due mesi, mille visite per questo blog.
Non sono tante , ma non sono nemmeno poche. Sarebbe certo più interessante se almeno la metà di chi legge lasciasse qualche traccia, qualche suggerimento, qualche critica. Continuerò ad alimentarlo con le notizie che riusciro a cogliere dalla rete, dai giornali e da contatti sul territorio; Vi invito a mandarmi notizie, fatti, curiosità riguardanti Sartano e li publicherò molto volentieri, l'invito è rivolto a tutti.
Grazie