mercoledì 30 gennaio 2008

La "Littorina"

C’era una volta…solitamente quasi tutte le storie iniziano cosi. C’era una volta nel comune di Montalto Uffugo, nella zona valliva posta quasi ai margini con il fiume Crati, la stazione ferroviaria denominata Montalto-Rose…. Accade a Montalto Uffugo, come è accaduto per altre, precisamente allo Scalo, che dopo anni di onorato servizio il treno-littorina e la stazione ferroviaria, non ci sono più, da quando l’ente ferrovie, ha iniziato a dismettere sia le stazioni, sia le fermate, sia i treni. Una stazione di tutto rispetto, ai tempi che fu, quando serviva sia i pendolari, sia il trasporto merci, sia le industriette del gas, che ancora sopravvivono nei pressi dello Scalo, mentre oggi non sappiamo se chiamarla ancora stazione o ex stazione. I tanti personaggi, protagonisti del pulsare vivo della vita della stazione, studenti, lavoratori, professionisti, emigranti, ambulanti, contadini che con ceste e panieri si recavano in città per vendere i prodotti della campagna, hanno affollato per mattine, per anni, sia d’inverno che d’estate, il marciapiede o la sala d’aspetto, mentre aspettavano la “littorina” o “postale ferroviario” o “tradotta”, come la chiamavano la maggior parte della gente del luogo, che sbuffante e con quel fischio sibilante avvertiva che stava arrivando in stazione proveniente da Sibari e diretta a Cosenza o viceversa. La “Littorina”, allora, era uno dei pochi mezzi di locomozione, insieme a poche macchine, ma poi, piano piano con il boom economico degli anni sessanta, oltre al treno-littorina le forme di locomozione sono diventate tante, che nel giro di un ventennio, hanno portato ad una riduzione degli utenti del vecchio treno e la stazione non era cosi affollata come lo era prima. Oggi, dopo circa trentanni, sono ritornato in quei luoghi per un servizio giornalistico e alla vista della vecchia stazione, mi sono ricordato di quando ero bambino, quando con i miei genitori, quasi con cadenza mensile, si partiva la mattina presto, a volte a piedi a volte con il pulmann, per raggiungere da Sartano la stazione ferroviaria di Torano Scalo, in attesa di prendere il treno, “la Littorina”, in arrivo da Sibari, per raggiungere quella di Montalto-Rose, dove a circa un chilometro e mezzo dallo Scalo abitava la nonna. Si arrivava allo Scalo di Montalto, ed una volta scesi dal treno, non soltanto io e i miei genitori, ma anche altri passeggeri, a piedi percorrevamo la massicciata della linea ferroviaria, per raggiungere la piccola frazione di Sant’Antonello, dopo avere oltrepassato il ponte di ferro che attraversa ancora oggi il torrente Mavigliano, mentre in lontananza vedevamo la “Littorina” che si allontanava fino a diventare un puntino nero per poi scomparire, come è scomparsa oggi, che non c’è più. Vedere oggi la stazione ferroviaria di Montalto Scalo ridotta nello stato pietoso in cui versa, in pochi attimi i ricordi di un tempo ritornavano a quando la stazione era viva, il capostazione che discuteva con i viaggiatori, l’impiegato della biglietteria con l’obliteratrice che chiamavamo “bucabiglietti”, il manovratore con la vecchia bicicletta “Bianchi” con i freni a bacchetta, che percorreva un tratto di sterrato per andare a spostare le leve degli scambi tra un binario e l’atro, la campanella che avvisava che il treno era in arrivo, e il fischietto del capostazione che dava il via alla partenza della “littorina” verso Cosenza o Sibari. Ricordi che d’improvviso sono sfumati quando ho preso cognizione dello stato in cui versava la stazione ferroviaria dove i treni, anzi “la littorina, o postale ferroviario, o tradotta”, oggi non si fermano più. Porte rotte e sgangherate, finestre inesistenti, mobili distrutti, muri screpolati, un disastro, un vero disastro, disastro rafforzato dal cancello d’ingresso al marciapiede di una volta, chiuso con catenaccio e lucchetto, ad impedirne l’accesso. L’unica testimonianza che resta di uno sviluppo che ha reso grande e ha civilizzato generazioni e generazioni, è la scritta Montalto-Rose in cima al muro dello stabile. Nel rendermi conto di tutta la situazione, e nel rendermi conto che il mio sogno da bambino e i miei ricordi di un tempo erano ormai svaniti in una realtà globalizzata e ultramoderna, mi accorsi che nei miei movimenti ero osservato da una vecchietta seduta sotto un albero, vicino all’uscio di una casa, che d’un tratto mi disse: “ figlicì è tuttu finitu, ccà ppi nua c’è sulu malincunia. Unnè chjiu cumi na vota, na vota a littorina era nà cumpagnia, oji mbeci è na murtoria, manchu nu cani ci passa chjiu di sa stazioni, su anni cà nissunu ci veni chjiu”. Capito come stavano le cose, salutato la nonnina, sono risalito in macchina e mentre avviavo la corsa, in lontananza sentivo quel fischio sibilante che annunciava l’arrivo in stazione della “littorina”, ma era solo un sogno.
Gildo Anthony Urlandini

Tirituppiti e lariulà (clik)

Chi non ricorda la canzone popolare detta del Monachieddru o Manachiellu a seconda la linea dell'isoglotta di appartenenza. Il frate che bussa di porta in porta per elemosinare qualcosa per la sussistenza propria e dei suoi confratelli, e quando ci riesce carpire anche qualcosa d'altro. Quello che si vede nel filmato è quanto meno strano, per non dire indecente, non si va ad elemosinare un piatto di minestra con le telecamere; il Monaco ha perso il senso della misura e della realtà, spero qualche comunità se ne prenda cura.