giovedì 27 novembre 2008

AUGURI

Cosenza. Leonardo Trento eletto Presidente del Consiglio provinciale giovedì 27 novembre 2008 Leonardo Trento va ad occupare l’autorevole posto che nove anni è stato occupato da Cecchino Principe. Siamo entusiasti e contenti che il primo scranno del Consiglio Provinciale sia occupato nuovamente da un socialista- così il Segretario della federazione del PS Gianni Papasso-.Siamo certi - ha aggiunto Papasso- che Leonardo Trento in questo ruolo saprà dare il meglio di se stesso, garantendo trasparenza e autorevolezza alla carica.

Comunicato tratto da: http://www.partitosocialista.it

mercoledì 26 novembre 2008

AUGURI

COSENZA/PROVINCIA: CORBELLI, SE PRESIDENTE RINUNCERO' A AUTO BLU (ASCA) - Cosenza, 25 nov.
Il leader del Movimento Diritti Civili, consigliere-capogruppo e segretario questore dell'Ufficio di Presidenza alla Provincia di Cosenza, Franco Corbelli, indicato tra i candiati presidenti del Consiglio, annuncia che ''se sara' eletto, giovedi', presidente del Consiglio provinciale di Cosenza, rinuncera' a tutti i privilegi, auto blu, telefonino, indennita' che devolvera' interamente a Natale e a Pasqua ai poveri''.''Voglio essere un presidente super partes - dice Corbelli - un garante, un traghettatore del Consiglio sino alle elezioni di giugno. Fuori dall'aula consiliare continuero' ad essere solo un semplice consigliere, con gli stessi diritti e doveri di tutti i consiglieri. In un momento particolarmente difficile per la grave crisi che vive la Calabria e l'intero Paese e' giusto che se eletto presidente dia un segnale diverso, di cambiamento e rinnovamento rispetto al passato''.red-res/dnp/alf (Asca)

lunedì 24 novembre 2008

AUGURI

Provincia I due capigruppo sostengono la sua candidatura Udc e Idm per Corbelli presidente Franco Corbelli corre verso la presidenza del consiglio provinciale che sarà assegnata giovedì. Ieri il leader del movimento "Diritti civili" ha svelato che dopo il Pdl, il quale con Mimmo Barile lo ha proposto per il dopo Principe, anche Udc e Idm hanno mostrato disponibilità a sostenere la sua candidatura. «Ho sentito al telefono – ha dichiarato Corbelli – il capogruppo dell'Udc in consiglio provinciale, Nino Fiorillo, e il capogruppo dell'Idm, Piercarlo Chiappetta. Il centrodestra.....
Per leggere interamente l'articolo è necessario abbonarsi. Articolo tratto dalla GazzettadelSud on line

martedì 18 novembre 2008

L'altra Calabria

Acquaformosa, il paese arberesh dove la scuola la salvano i nonni di Enrico Fierro Qualcuno ha lo zainetto e si è messo il vestito della domenica, quello buono che si tira fuori solo nelle occasioni speciali, sul bavero una medaglia: Seconda guerra mondiale. Tutti hanno sui volti rigati dal tempo i segni di un orgoglio antico che viene dall’altra sponda del mare e che affonda le sue radici in una migrazione di sei secoli fa. Sono i nonni di Acquaformosa, poco meno di mille anime sui monti del Pollino. Vanno a scuola, classe prima elementare. Non sanno chi sia la Gelmini, quella scritta sui manifesti affissi in paese, la signora del Nord che da giovane avvocato ha fatto il suo tirocinio proprio qui in Calabria, a Reggio, nello studio di un noto avvocato comunista, e che ora vuole chiudere la loro scuola elementare. L’unica, quella dei nipotini. Non lo sanno, ma si iscrivono a scuola per protesta e per legittima difesa. E ora sono tra i banchi, insieme ai bambini e alle bambine del paese. Per molti è la prima volta, per pochi altri un ritorno dopo decenni. Benvenuti ad Acquaformosa. Anzi, «Mire se na erdhet Firmoza», come c’è scritto sui cartelli in doppia lingua: l’italiano e l’antico, musicale arberesh, la lingua di quei padri lontani che nel 1400 sbarcarono qui esuli dall’Albania. Firmoza, insieme a Civita (Cifti), Frascineto (Frasnita), San Basile (Shen Vasili) e Lungro (Ungra), è uno dei paesi della folta minoranza linguistica arberesh calabrese. Qui lingua e tradizioni si sono tramandate per secoli grazie ai nonni e alle loro favole, le nonne hanno insegnato i balli e i segreti del ricamo e della cucina. La modernità con le sue crudeli necessità, l’emigrazione, e le sue quotidiane tentazioni televisive, non ha mai «sporcato» idioma e tradizioni. Neppure la chiesa cattolica è riuscita a penetrare il culto greco-bizantino. Le severe icone della chiesa di Acquaformosa, l’inviolabilità dell’altare, l’odore di incenso e l’avvolgente silenzio, sono per il cronista un salto all’indietro: dieci anni fa, Prizren, Kosovo, visita ad un monastero ortodosso. Uguale. Ma siamo nella parte più amara della Calabria, terra di abbandoni e di gente abbandonata. Con il sindaco, Giovanni Manoccio che raccoglie una ventina di vecchietti, alcuni ultraottantenni, e li accompagna a scuola. L’unica elementare del paese a forte rischio chiusura. Il calo demografico fa perdere alunni, sono pochi e non bastano a raggiungere i requisiti numerici minimi. «La nostra non è solo una battaglia per il diritto all’istruzione, la scuola elementare è un presidio per la tutela delle nostre tradizioni». Perché ad Acquaformosa, come negli altri paesi arberesh oppure occitani, grazie a leggi nazionali e ad una legge regionale, per un’ora al giorno si studiano lingue e tradizioni antiche. «La chiusura della scuola», dice il sindaco, «è una vera e propria violenza». L’istituto è vecchio ma ristrutturato di recente. «Abbiamo speso 250mila euro per la messa in sicurezza, soldi che verranno buttati al vento». Gli spazi sono ampi ma non c’è l’ascensore e i vecchietti arrancano per le scale. Entrano timidi in aula, si siedono, simulando quello che potrà accadere all’avvio del prossimo anno scolastico. Con loro ci sono i bambini, un po’increduli, molto divertiti. Il sindaco parla e spiega le ragioni di questa protesta civile e ordinatissima. Tutti battono le mani. Anche le maestre. Un’ora dopo usciamo attraversiamo la strada principale, ovviamente intitolata a Skanderbeg, Giorgio Castriota, l’eroe albanese che ritroviamo riprodotto in un busto di marmo nella stanza del sindaco. Giovanni Manoccio è un uomo di sinistra che ama i buoni libri e la sua terra. «Qualcuno dice che la nostra è una battaglia arretrata, vecchia. Ma cos’è la modernità, cancellare questi paesi? Svuotarli a poco a poco? Azzerare progressivamente una cultura, una diversità che ha resistito nei secoli? La scuola è l’unico momento di aggregazione per i nostri bambini, il luogo dove si ritrovano e si riconoscono, il punto di contatto con la realtà. Chiuderla significa consegnarli totalmente alla televisione e ai suoi modelli. Ma poi è moderno costringere dei bambini a farsi venti chilometri al giorno per studiare? Riportare il calendario della storia indietro agli anni Cinquanta: grembiule, cartellina di cartone, scarpe sfondate e a scuola solo chi aveva i mezzi?». Acquaformosa, forse, la salveranno i nonni. Quelli che a Lungro, ti parlano della miniera di salgemma che occupava fino a 400 operai e che nel 1976 fu chiusa. «Ora è ridotta a una discarica - mi dice un vecchio operaio - e pensare che quello era il luogo del sacrificio, scendevamo fino a 265 metri, con la temperatura a 18 gradi per tirar via il sale». Nel salone del Municipio le vecchie foto della miniera, le lettere degli operai, gli stemmi delle Saline di Lungro, vecchi attrezzi di lavoro. Ricordi di vita strappati all’incuria degli uomini. «Sarebbe bello farci un museo», dice il vecchio operaio. Anche nell’antica Ungra tutto parla delle tradizioni, dalla particolare struttura urbanistica (la gjitonia) all’imponente monumento nella piazza principale naturalmente dedicato a Giorgio Castriota. «Le scuole in queste piccole realtà sono ormai l’unico strumento per conservare la cultura delle comunità. La loro chiusura va contro gli articoli della Costituzione e le leggi della Repubblica che tutelano le minoranze linguistiche. Per questa ragione abbiamo deciso di opporci e di proporre un ricorso alla Consulta». Donatella Laudadio è l’Assessore provinciale alle minoranze, nei giorni scorsi ha fatto un giro per i paesi del Pollino a rassicurare sindaci e famiglie: le scuole non chiuderanno. Nell’ufficio del sindaco di Acquaformosa, tra una bandiera con le aquile e un brevetto di partigiano dono di un paesano, sfogliamo le lettere dei bambini delle elementari. Grafie innocenti, ringraziamenti, inviti a recite e saggi di fine d’anno. E una petizione: «Signor sindaco siamo sfegatati fans dei “Cesaroni”, la preghiamo di invitare gli attori della fiction per la prossima rassegna di agosto». Giovanni Manoccio sorride: «Certo, per fortuna viviamo nell’Italia di oggi, anche in quella dei “Cesaroni”, ma non possiamo consentire a nessuno di uccidere il nostro passato. Non è giusto e soprattutto non è questa la modernità alla quale aspiriamo». Articolo tratto da L’Unita del 18 Nov 2008

lunedì 17 novembre 2008

L'importante è RUBARE

Il docente, ordinario a Unical, aveva ottenuto decine di milioni di euro ottenuti grazie a fantomatici progetti innovativi per una fabbrica di ceramiche. Truffe alla Ue ideate dal professore. Carte false e ricercatori sfruttati. Studenti e laureati venivano utilizzati per produrre la documentazione necessaria. di GIUSEPPE BALDESSARO
REGGIO CALABRIA - Costringeva dottorandi e ricercatori a firmare carte false. Li sfruttava per produrre progetti di Sviluppo finanziati dall'Europa e dallo Stato. Idee da decine di milioni di euro che finivano nelle tasche delle aziende. Mentre i giovani studiosi incassavano solo poche migliaia di euro, che in parte erano costretti persino restituire al docente. Per questo da ieri Alfonso Nastro, professore ordinario di Pianificazione territoriale dell'Università di Cosenza è ufficialmente indagato. Coinvolto secondo gli uomini del Nucleo antifrode dalla Guardia di Finanza di Catanzaro, in una mega truffa che ha portato all'arresto di 3 persone, alla notifica di 40 avvisi di garanzia e al sequestro di beni per 70 milioni di euro. Le indagini, avviate nel corso del 2006 su delega della Procura di Reggio Calabria riguardano la "Vecchio prodotti in ceramica srl", società che avrebbe dovuto operare nel settore della fabbricazione di piastrelle per l'edilizia. L'attività doveva partire grazie ad un contributo europeo di 26 milioni di euro, finalizzato a un progetto di "ricerca e sviluppo precompetitivo e programma industriale". Un Pia (Pacchetto integrato agevolazioni innovazione) ideato da ricercatori, dottorandi e studenti dell'Unical, guidati dal professor Nastro. Un'operazione che in realtà avrebbe fruttato milioni soltanto per gli imprenditori ed i loro complici, visto che la produzione, prevista in uno stabilimento di Candidoni, in provincia di Reggio Calabria, non è mai partita. Nelle carte dell'inchiesta si legge di "un sofisticato meccanismo di frode, ideato dai responsabili della società beneficiaria del contributo e dal docente del dipartimento di Pianificazione". I soci della Vecchio srl fornivano documenti falsi riguardo alla fattibilità del progetto proposto, gonfiavano i costi sostenuti per avviarlo, e manomettevano le date di conclusione del programma di ricerca e di pagamento delle relative spese. Insomma, un castello di carta costruito sul nulla. Il docente universitario, scrivono i magistrati, "avrebbe imposto a diversi studenti e ricercatori la sottoscrizione di documenti non veritieri e, talvolta, estorto parte del compenso da loro percepito". In buona sostanza dei circa 20 mila euro che dovevano andare ad una decina di giovani studiosi per il lavoro di progettazione svolto, solo 3 o 4 mila venivano percepiti realmente. Cifre che erano decurtate ulteriormente dal professore che pretendeva una tangente, approfittando della posizione predominante nell'università. Ora è accusato oltre che di falso e truffa anche di estorsione. Un secondo filone di indagine, condotto per competenza territoriale dalla procura della repubblica di Palmi, ha riguardato la "Tourist residence", riconducibile alle stesse persone fisiche titolari della "Vecchio prodotti in ceramica", nonché beneficiaria, ai sensi della legge 488, di un ulteriore contributo pubblico di oltre 5 milioni di euro. In questo caso il denaro era erogato per l'ampliamento di una grossa struttura turistico-alberghiera - il "villaggio la Pace" - realizzata nel comune di Drapia, a Vibo Valentia. Anche questa una truffa. Agli indagati sono stati sequestrati la struttura nella quale doveva essere avviata la produzione di piastrelle, il villaggio turistico, 67 immobili, quote azionarie e conti correnti, per un valore complessivo di 70 milioni di euro. Articolo tratto da Repubblica del 17-11-08

mercoledì 12 novembre 2008

Miracolo!!!!!!!!!!!!!!!

Cavallo “risponde” a richiamo CC, recuperato bestiame rubato VIBO VALENTIA. Avevano rubato tre cavalli e li avevano portati in una campagna deserta e ben recintata, in attesa di cederli a qualche acquirente, ma i carabinieri li hanno preceduti, grazie soprattutto alla collaborazione di Valentino, il più vispo dei tre quadrupedi, che chiamato a distanza per nome, si è messo a nitrire, attirando così i militari dell’Arma nella prigione. Il curioso episodio, raccolto in ambienti investigativi, è avvenuto a Zungri, un Comune del vibonese, nel comprensorio del Poro, tristemente noto per i continui furti di animali di ogni genere, un fenomeno vestito dalla mafia rurale che saccheggia gli allevamenti al fine di indurre i proprietari delle campagne a cederle a basso prezzo. I carabinieri, appena ricevuta la denuncia del furto da parte di un piccolo allevatore del luogo con la descrizione dei quadrupedi ed i loro nomi, si sono diretti verso la “Campia”, scandendo a gran voce il nome “Valentino” dato dal proprietario ad uno dei cavalli fin quando ad un tratto non hanno sentito, in risposta, un forte nitrito. Sicché, seguendo la direzione da cui proveniva il segnale, sono arrivati al rifugio. Recuperati i cavalli, i carabinieri sono adesso alla ricerca dei ladri, probabilmente persone del luogo, affiliate alla famigerata mafia rurale. (11-10-08)
Tratto da: IlGiornalediCalabria del 11-11-06

giovedì 6 novembre 2008

Usanze

“U cùnzulu” Questa parola (cùnzulu) indica una serie di rituali e di comportamenti posti in essere, nel momento in cui, nel paese, si verifica un lutto. La comunità si stringe attorno alla famiglia nella quale si è verificato l’evento, compiendo una serie di azioni che culminano nella cerimonia du cùnzulu”. Dopo il funerale, nel primo mese di lutto la famiglia del defunto riduce al minimo le proprie attività tanto da non preparare neanche il pasto quotidiano; saranno gli amici, le persone più intime che a rotazione se ne occuperanno. Le persone che preparano u cùnzulu si devono attenere ad una serie di prescrizioni: bisogna preparare pasti abbondanti, portare tutte le stoviglie (non possono essere usate quelle della famiglia in lutto), le vettovaglie che avanzano devono rimanere alla famiglia in lutto. Tutto l’occorrente, compreso i pasti, viene sistemato in una o più”sporte” è coperto da un panno nero. Qualora il pranzo si dovesse protrarre oltre il calar del sole, le stoviglie, e tutto ciò che è servito per “u cùnzulu , viene ritirato il giorno dopo. Per un anno, in famiglia, non si confezioneranno le pietanze tradizionali di due importanti festività: saranno i parenti più stretti , i SanGiuvanni, a portare loro il giorno della festa, ‘u cuddracciu per Pasqua ed ‘i pittuli per Natale; per il giorno dei Morti un piatto di lagana e ciciri. Sono molte le tradizioni che col passare degli anni si modificano profondamente, o vengono assimilate con altre o spariscono definitivamente. ‘U cùnzulu rimane, per i morti ma soprattutto per i vivi. Angelo Aquino

domenica 2 novembre 2008

2 Novembre

Un serpentone lungo, nero, cominciava a muoversi dal piazzale della chiesa per le vie del paese e poi lungo la strada in salita e tutta curve, polverosa d’estate e infangata d’inverno, per arrivare fino al cimitero. Ragazzi indaffarati a vendere lumini e mezze candele, che tutti compravano, sul ricavato della vendita gli spettava una paghetta che i vari negozianti riconoscevano, pochi spiccioli che venivano spesi per il cinema, qualche sigaretta, o per qualche leccornia tipo i kaki, sì i kaki, che proprio in quel periodo erano nel pieno della maturazione e della loro dolcezza, era quasi un frutto proibito. La processione di donne, vedove, orfane, ragazzi, padri, madri, a crocchi familiari, con l’avvicinarsi al cimitero procedeva sempre più sommessamente, alcune donne recitava qualche litania di cui forse non conosceva il significato, parole imparate a memoria, sentite chissà quante volte, rispondevano in automatico ad ogni finire di frase del prete. Tante viuzze, tombe nella nuda terra, sopra la terra loculi a più piani, cappelle gentilizie “ Qui giace……… nato il…. e morto il….” . Tombe senza croci, croci arrugginite, croci e date tracciate nell’intonaco in attesa d’una lapida che non fu mai posta, date e nomi incise nel marmo o con lettere dorate; li sotto dove tutto giace e tutto uguale, sopra tutto è diverso. La ricerca del luogo del proprio caro, l’accensione d’una candela prendendo a prestito la fiamma d’una candela a fianco, un lumino: qualcosa comincia a muoversi dentro, un istinto irrefrenabile. Non si prega, non si sa pregare perché nessuno glielo ha mai insegnato, si sa solo piangere perché lo hanno sentito ed imparato di generazione in generazione. La figlia piange il padre o la madre, la moglie il marito, la sorella il fratello. Gli uomini non piangono non lo sanno fare, non glielo hanno mai insegnato. Due madri: Una piange il giovane figlio morto in Canada, un’altra piange il figlio morto in Svizzera. Son passati forse dieci o vent’anni dal quel triste evento, ogni anno il loro pianto è diverso, straziante come solo il pianto d’una madre che piange il figlio può essere. C’è sacralità nel rito preparatorio, una preparazione fisica e spirituale, la ricerca di una forza superiore, sussurrano parole a volte incomprensibili, quasi una nenia, frasi che terminano sempre con “figliu”, poi il parlato si fa più musicale. Il pianto inizia lodando la bontà, le fattezze, l’amore di quel figlio, intanto le dita delle mani cercano di sciogliere il nodo del fazzoletto nero che hanno in testa, con gesti lenti, misurati la coroncina di trecce sulla nuca si dipana, due lunghe trecce bianche s’appoggiano sul seno, lentamente le sciolgono, quelle stesse dita che un tempo porsero i capezzoli per allattare quei figli morti, cominciano a scarminare i capelli come per scegliere quelli più belli, ogni conclusione di frase finisce con una ciocca di capelli fra le mani che ripongono una dopo l’altra sopra la tomba. La musica del pianto, monodico, aumenta di volume, seguendo una partitura che si ripete da anni. Non si rivolgono mai a Dio, a Gesù o ad altri Santi, qualche volta entra in questo dialogo fra madre e figlio il nome della Madonna ‘A’’ Dulirata. Il pianto aumenta ancora di sonorità, il ritmo prima cadenzato, da marcia funebre, ora si fa incalzante, s’accompagna al movimento delle braccia che tendono verso l’alto, il dondolio del capo, le mani, i polpastrelli da prima sfiorano le guance, le unghie affondano nella carne tracciando un solco, lentamente il sangue affiora sul viso, poche gocce cadono sulla nuda terra come a voler ridare nuova vita a quel che rimane di quel corpo sepolto. Avevo quasi cancellato dalla memoria questi ricordi: Qualche anno fa ho riascoltato gli stessi suoni, rivissute le stesse emozioni in luogo distante mille e più chilometri. Una madre piangeva in casa il figlio morto, in quel luogo dove ancora vive, gli hanno detto che non s’usa piangere, né al cimitero né in chiesa, non sta bene. Povere madri calabresi, anche questo vi è stato tolto, piangere come vi hanno insegnato e come solo voi ‘’Ddulirate sapete.
Sartano, 1999

sabato 1 novembre 2008

Plagio o l'arte di arrangiarsi?

Ultraottantenni in classe per salvare scuola Effetto del decreto Gelmini in paese calabrese con pochi alunni (ANSA) - ACQUAFORMOSA (COSENZA), 1 NOV.
Una trentina di ultraottantenni si sono iscritti alle elementari per evitare la chiusura della scuola per mancanza di alunni. L'iniziativa e' degli amministratori di Acquaformosa, un comune italo-albanese con 1.200 abitanti, in provincia di Cosenza. Con pochi alunni la scuola, per effetto del decreto Gelmini, sarebbe stata soppressa.
Cari amici di Acquaformosa la primogenitura di una iniziativa simile spetta al Liceo di Torano, dove sono stati iscritti due ventenni e due quarantenni: con quale risultato? Nullo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Certo che 30 ultraottantenni alle elementari fanno un certo effetto.