martedì 29 giugno 2010

GENTI I MALARRAZZA




Scurau lu cielu ‘cca’ ‘mmenzu la via
Pregandu u Cristu in cruci e cusi’ sia.
Subba stu lignu i cruci anzemi a tia
Gesu’ , non ta scordari, a terra mia.
Briganti non e’ chillu chi l’ammazza
E i nui dici ca simu a malarrazza.
Nu poveru garzuni ammenzu a via
Prega la stessa cruci e a terra mia
“distruggi stu penzuru o Gesu’ mio
Ca io ‘cca’ su chi pregu, pregu pe’ tia.
Po’ mali chi la ‘mpurri e poi la scaccia
U cori soi ‘nci mori e nesci paccia.
Gesu’ ti pregu , prega a terra mia
Ca io pe’ tia’ mo’ pregu ammenzu a via.
“Oi Cristu ‘ncruci , oi cruci i Cristu
Fammi sta grazia, fammila prestu
E tu oi Madonna non la lassari
A terra mia ‘nna’ di moriri.”
‘Nna’ di moriri stu meridioni
Di bona genti e no’ ladroni.
‘Nna’ di dormiri a genti o suli
Suli i stu sud meridionali.
Bestemmia nu bon’onomu ammenzu a chjazza
Quandu ‘nci dinnu “si na malarrazza”
E l’acqua a la funtana scurri e ‘mpazza
Ca nui no’ simu genti i malarrazza.
Perdunala Gesu’ sta terra mia
Si ‘nta la ‘rraggia si scordau di tia.
Distruggilu stu mali chi la spezza
E sutta o suli e a luna la strapazza.
Gesu’ non ta scordari a terra mia
Non ta scordari no, fallu pe’ mia.
Dincillu a chilla genti chi l’ammazza
Ca nui no simu no , na malarrazza.
“Oi Cristu ‘ncruci , oi cruci i Cristu
Fammi sta grazia, fammila prestu
E tu oi Madonna non la lassari
A terra mia ‘nna’ di moriri.”
‘Nna’ di moriri stu meridioni
Di bona genti e no’ ladroni.
‘Nna’ di dormiri a genti o suli
Suli i stu sud meridionali.
No, no, no, non po’ dormiri no
No, no, no, non po’ moriri no’
Pe’ carita’ fallu pe’ mia
Gesu’, non ta scordari a terra mia.

Giusy Staropoli

sabato 12 giugno 2010

Punto e a capo

COMUNE DI TORANO CASTELLO
(PROVINCIA DI COSENZA)
Via G.Marconi,l24 - 87010 Tel. 0984-5040e Fax 0984-504875

IL PRESIDENTE

AVVISA

La cittadinanza che è convocato il Consiglio Comunale per il giorno 18.06.2010 alle ore 19.00 che avrà luogo, al fine di favorire una maggiore partecipazione dei cittadini, presso la Sala Polifunzionale in Torano Castello cenffo, per la trattazione degli argomenti sotto descritti :

1. Approvazione verbali seduta precedente.
2. Approvazione programma delle Opere Pubbliche 2010-2012 ed elenco annuale per l'esercizio 2010.
3. Bilancio di Previsione per l'esercizio finanziario 2010 ed allegati - Relazione previsionale e programmatica 2010-2012 e bilancio pluriennale 2010-2012: Esame ed approvazione.
4. Approvazione Regolamento Polizia Mortuaria;
5. Approvazione Regolamento del Gruppo comunale di volontari di Protezione Civile;
6. Approvazione schema di Convenzione per I'Ufficio Segreteria Comunale fra i Comuni di Spezzano Albanese e Torano Castello;
7. Nomina Revisore dei Conti triennio 2010-2013;
8. Comunicazioni del Sindaco.


Torano Castello, 11.06.2010
 
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Chiedo venia a chi ha già avuto modo di leggere il mio personale pensiero in merito all'Ordine del giorno del Consiglio Comunale. Ho già avuto modo di discuterne con qualche interessato ma senza esito, purtroppo. Allora ho voluto consulatare una serie di linkl di riferimento di altri Comuni d'Italia, al nord-centro e sud che fanno riferimento allo stesso argomento ovvero alle comunicazioni date dal Sindaco(raramente) o dal Presidente del Consiglio, la dove questi sono presenti sono sempre posti al numero 1 dell'Ordine dei lavori, mai e dico mai per ultimo. Premesso che le comunicazioni dovrebbero essere inerenti, funzionali ai punti in discussione e che non possono essere messe ai voti, che in rari casi vengono si messe per ultimi ma in risposta a problemi posti antecedentemente. Basta fare una semplice ricerca su Google, digitando: "Convocazione consiglio comunale".
Chiedo in base allo Statuto"
-Art. 17
Diritti e doveri dei Consiglieri Comunali
1. Ogni consigliere ha facoltà di presentare interrogazioni e interpellanze  al Sindaco, su atti, fatti e condotte, afferenti l’ ente e i suoi organi, nonché proposte di deliberazioni.
2. Il Sindaco è tenuto direttamente o attraverso un assessore, a dare risposta ad interrogazioni e interpellanze entro trenta giorni dalla data della presentazione.
3. La risposta potrà essere data, fermo restando il termine di cui sopra:
a) per iscritto, con comunicazione se richiesta dall’interrogante o dall’interpellante, a tutti icapigruppo
b) consiliari;
c) oralmente in aula;
d) oralmente nell’ambito della Commissione Consiliare permanente competente per materie, ove istituita.-
Che un Consigliere o un gruppo faccia una interpellanza al Presidente del Consiglio affinchè gli Ordini del giorno dei lavori del Consiglio siano conformati al resto dei Comuni Italiani. Oltretutto, mi pare anzi è, la questione è stata oggetto di discussione ed addirittura di auto allontanamento da parte di un Consigliere.
Per finire:
1.vista l'importanza dei punti in discussione non sarebbe ragionevole trasmettere la seduta,  almeno registrata?
2. E possibile leggere un solo verbale relativo alla seduta pubblicato sul sito e non piu spezzoni?


lunedì 7 giugno 2010

Noi a Firenze & Loro in Calabria

"Improbabile dialogo a distanza con il Sindaco di Firenze e un Calabrese qualunque"
Le parti rosse in corsivo sono le mie: quelle di un Calabrese qualunque ma non qalunquista.

Noi a Firenze facciamo così.
La sfida di Renzi sul suo blog.
Mi hanno chiesto di scrivere un testo per “L’Ambasciata teatrale”, sulla falsariga di un celeberrimo discorso del passato. Graditi, commenti, critiche e integrazioni a sindaco@comune.fi.it

Noi a Firenze facciamo così Noi a Firenze pensiamo che la politica sia una sfida e non un problema, un sogno e non un incubo, un servizio e non un carrierificio. Noi a Firenze facciamo così. Noi a Firenze pensiamo che la felicità non venga dal successo ma che l’unico successo sia essere veramente felici. E poniamo il nostro onore nel meritare la fiducia di chi ci vuole bene.
Loro in Calabria fanno cosi. Loro a Reggio-Crotone-Vibo-Catanzaro-Cosenza pensano che la politica sia un affare solo per chi la pratica, un postificio per parenti, amici ed amici degli amici. Loro a Reggio-Crotone-Vibo-Catanzaro-Cosenza pensano che la felicità venga dal successo politico, che l'unico successo per essere veramente felici è essere eletti, non importa come.Loro pongono l'altrui bisogno per ricattare la loro fiducia.
Noi a Firenze facciamo così. Noi a Firenze pensiamo che i medici debbano curare le persone, non denunciarle. E crediamo che l’altro sia una miniera di suggestioni, non un coacervo di ossessioni. E vogliamo vivere a viso aperto, non asserragliati nelle paure. Noi a Firenze facciamo così.
Loro in Calabria fanno cosi. Loro a Reggio-Crotone-Vibo-Catanzaro-Cosenza pensano che i medici debbano portare voti non curare le persone, cosi le denunce per malasanità sono all’ordine del giorno. Credono che l’altro sia una miniera di voti da sfruttare, Loro vivono rintanati, a volte incappucciati, asserragliati dalla paura di perdere il tesoretto sottratto e distratto ad una insana e disonesta politica amministrativa.
Noi a Firenze pensiamo che i musei e le biblioteche debbano stare aperti fino a mezzanotte e offrire un’alternativa alla prima, alla seconda e anche alla terza serata televisiva. Pensiamo che sia commovente far declamare Dante da mille persone in mezzo alla strada, nei vicoli, negli angoli bui della nostra quotidianità. E pensiamo che la musica educhi il cuore al bello: e quando possiamo apriamo i nostri teatri e mettiamo i maxischermi col Maggio Musicale nelle nostre piazze. Noi a Firenze facciamo così
Loro in Calabria pensano che i musei e le biblioteche debbano restare chiusi, possibilmente creare okkupati, sempre in crisi, vedasi Biblioteca Civica di Cosenza. Ogni anno, ciclicamente, si ripresenta il problema dei finanziamenti, per il resto l’alternativa è la prima, la seconda e anche la terza serata televisiva. Pensano sia sconcertante far declamare Tommaso Campanella o Gioacchino da Fiore, Corrado Alvaro o Saverio Strati anche ad uno solo, figuriamoci a mille. Pensano che la musica colta non sia per il popolo ma regione, provincie e comuni fanno a gara per fare spettacoli di musica leggera tramite agenzie amiche. Vorrebbero vedere aperti i nostri teatri con stagioni musicali roboanti non per educare al senso e al gusto dell’arte. Loro in Calabria fanno così
Noi a Firenze facciamo così. Noi a Firenze pensiamo che una piazza di mestiere debba fare la piazza, non l’incrocio autostradale per cui dove possiamo pedonalizziamo, senza indugio. E quando c’è da decidere si decide: non si fa una commissione per decidere fino a quando si rinvia la decisione. E vogliamo che ogni cittadino abbia una piazza, un parco, un giardino a meno di dieci minuti a piedi da casa: perché l’urbanistica si fa occupandosi degli spazi da tenere vuoti, non solo degli spazi da riempire, di cemento e di banalità. Noi a Firenze facciamo così.
Loro in Calabria fanno così. Loro credono che le piazze servano per i caroselli automobilistici, dove ognuno e libero di passare per primo o per chi ha più fretta; nelle piazze i pedoni sono un intralcio al traffico e quindi le strisce diventano uno spreco di vernice. E quando c’è da decidere si adotta il sistema del: non fare mai oggi quel che potresti fare domani, per questa ragione si fanno commissioni su commissioni, più ce ne è meglio è. Loro vogliono che ogni cittadino abbia una piazza in cui passare il tempo………….praticamente la vita, i parchi e i giardini meglio costruirli fuori porta perché a dieci minuti da casa., l’urbanistica loro la fanno occupando gli spazi vuoti, gli interstizi con colate di cemento. Loro in Calabria fanno cosi
Noi a Firenze vogliamo vincere, altro che partecipare. Ma sappiamo da molto tempo, per esperienza diretta, che è meglio secondi che ladri… Noi a Firenze facciamo così. Noi a Firenze facciamo così. Noi a Firenze dobbiamo tutto alle donne. È per l’intelligenza di una donna che è stato salvato il cuore della città. E’ per la nostalgia di due donne che c’è molta Firenze a Parigi. È per gli occhi di una donna che è stato scritto il più grande capolavoro della letteratura mondiale. Noi a Firenze combattiamo la mercificazione della donna, la sua umiliazione, la costrizione a ruolo di portatrice sana di lato B che tanta parte del mondo (anche politico) di oggi vorrebbe. Noi a Firenze facciamo così.
Loro in Calabria vogliono vincere ma anche perdere, tanto per lo loro il risultato non cambia. Loro sanno per esperienza vissuta che l’importante è esserci e partecipare, l’occasione-accordo per continuare a rubare o per coprire le ruberie fatta si trova comunque anche passando sul cadavere dell’amico. Loro fanno cosi, da anni. Loro in Calabria non devono nulla alle donne, le mantengono, le portano a spasso ma guai a dargli poteri amministrativi…..e roba da maschi. Loro in Calabria fanno cosi.
Noi a Firenze facciamo così. Ci piace il Palazzo Vecchio, ma vogliamo le facce nuove. E pensiamo che il ricambio generazionale non sia un tema da convegni, ma una possibilità da osare, una risorsa da usare. E pensiamo che chi fa politica debba rischiare, senza avarizia, mettendosi in gioco fino in fondo. Noi a Firenze facciamo così.
Loro in Calabria fanno cosi. Gli piacciono i vecchi palazzi, i palazzi vecchi li abbattono quando riescono a trovare contributi stati o europei, oppure li fanno acquistare ai poveri comuni tramite mutui, che mai troveranno le risorse necessarie per il recupero e il riutilizzo pubblico, che lo facciano facce vecchie o facce nuove il risultato è sempre lo stesso. Il ricambio generazionale è sempre atto attuato, si passa da padre in figlio, alcuni politici sono alla terza o quarta generazione: Quando c’è da rischiare non si va per il sottile, si ricorre al tutto per tutto, anche al morto ammazzato. Loro in Calabria fanno cosi.
Noi a Firenze facciamo così. Quando c’è un grande architetto, gli facciamo fare la Cupola del Duomo, ma anche il Salone degli Innocenti: il luogo di Dio, ma anche il luogo degli ultimi. Perché noi a Firenze pensiamo che si può essere solidi solo se si è solidali. E che si può custodire la bellezza solo se si è capaci di regalarla. Noi a Firenze facciamo così.
05 giugno 2010
Loro in Calabria fanno cosi. Quando c’è un grande architetto, se non sono a sceglierlo, non gli lasciamo costruire nemmeno la “zimma” per il maiale. Loro in Calabria pensano a essere solidamente sodali, chi non è con loro e contro e quindi eliminato, bello o brutto che sia. Il loro senso di bellezza è il potere, potrebbero mai regalare il potere per donare bellezza?
Loro in Calabria fanno cosi.
07 giugno 2010

venerdì 4 giugno 2010

150° dell'Unità di che?

“Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).
Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile. Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila».
Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire».
E Garibaldi parlò di «cose da cloaca». Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.
Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.
Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.
Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre ancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)? Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre auguste Souverain prend pour lui-même et pour ses successeurs le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al Giosue Carducci delle Letture del Risorgimento italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale per l’Educazione Popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (…), la revisione critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni diversamente meditate (…) della più complessa realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce il poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.
Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei pare una bella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare di parlarne «può anche essere opera di carità». (Storia d’Italia, Einaudi).
Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.
Non sapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro. Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
A mano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io stupito; gli ascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori seccati: esagerazioni, invenzioni e, se vere, cose vecchie. E mi accorsi che diventavo meridionale, perché, stupidamente, maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto e abitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”, quando Roma riorganizzò l’impero (quella meridionale venne chiamata “Apulia”, dal nome della mia regione. Ma la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra sia servito a molto, perché «ogni battaglia contro pregiudizi universalmente condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas Humphrey (Una storia della mente). «Perché non riprendi una delle tante pubblicazioni meridionaliste di venti, trent’anni fa, e la ristampi tale e quale? Chi si accorgerebbe che del tempo è passato, inutilmente?» suggeriva ottant’anni fa a Piero Gobetti, Tommaso Fiore che poi, per fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, un economista indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno), allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare del già detto, e del già fallito».
Perché tale stato di cose è utile alla parte più forte del paese, anche se si presenta con due nomi diversi: “Questione meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli; e “Questione settentrionale”, di recente conio, ovvero della volontà del Nord di mantenere la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere conquistato con le armi e una legislazione squilibrata.
Dopo centocinquant’anni, questo sistema rischia di spezzare il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perché troppi sono gl’interessi che se ne nutrono.
Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta; e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione; e se presa in considerazione, non tanto da cambiare i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.

Dal libro “Terroni” di Pino Aprile (Edizioni Piemme, 2010