Il Caso.
Il 25 novembre i carabinieri ritirano al giovane la patente. Poco dopo lo beccano mentre guida.
«I carabinieri ci hanno urtato facendoci andare fuori strada»
«Luigi aveva paura dei militari perchè nutrivano dei rancori contro di noi»
COSENZA
di ASTOLFO PERRONGELLI
redazione@laprovinciacosentina.it
Un grave incidente stradale avvenuto la sera del 25 novembre sulla strada provinciale 107. Tragico il bilancio: un morto, e un giovane rimasto vivo per miracolo. Durante un inseguimento con i carabinieri, l’auto guidata da Luigi Tucci, camionista di 27 anni (al quale i militari dell’Arma, nel tardo pomeriggio, nel corso di un controllo, avevano ritirato la patente perché risultato positivo al test etilico) improvvisamente, a causa della forte velocità, ha cominciato a sbandare, s’è cappottata e ha finito la sua corsa in una scarpata. Luigi Tucci è morto all’istante, il suo amico, Giuseppe Monaco, sbalzato fuori dalla vettura, una Lancia Dedra rossa, ha riportato numerose ferite. Qualcuno ha chiamato i soccorsi, sul posto si sono recati i vigili del fuoco e i volontari del 118. Questa è la versione ufficiale fornita dagli investigatori. Ma su questa vicenda, che ha distrutto una famiglia con la morte di Luigi Tucci, c’è bisogno di chiarezza, e il giovane che è riuscito a salvarsi, Giuseppe Monaco, ha deciso di raccontare alla Provincia cosentina la sua verità. Sull’accaduto la procura della Repubblica di Cosenza ha aperto un’indagine. «Tutto è cominciato il pomeriggio del 25 novembre », racconta Giuseppe Monaco, disteso immobile sul divano del soggiorno di casa sua. «Insieme a mio zio e a Luigi ci siamo recati a Torano in un bar per trascorrere alcune ore insieme e bere un paio di birre. Verso le 18,30 abbiamo deciso di andare via. Usciti dal locale Luigi è salito a bordo della vettura e siamo partiti. Abbiamo percorso poche centinaia di metri e i carabinieri ci hanno fermato. Ho effettuato il test dell’etilometro ed è risultato negativo». Spiega Giuseppe: «Poi è stata la volta di Luigi. Il controllo anti alcol lo ha ripetuto sei volte perché dall’esame risultava il minimo punteggio per ritirargli la patente. Luigi ha chiesto ai carabinieri di soprassedere perché altrimenti, senza patente, non avrebbe potuto guidare i camion e avrebbe perso il posto di lavoro». Ma i carabinieri, ligi al dovere, affidano la vettura a Giuseppe Monaco che è risultato sobrio. Continua il ragazzo: «Dovevo parcheggiare l’auto vicino a casa di Luigi, ma posti non ce ne erano. Così l’ho sistemata a San Nicola, all’ingresso del paese, sempre a poche centinaia di metri da casa del mio amico. Quindi ci siamo recati in un bar per aspettare che si liberasse qualche parcheggio. Abbiamo trascorso il tempo chiacchierando con gli amici e abbiamo bevuto, sia Luigi che io, una sola birra». Verso le 21, racconta Giuseppe, «dovevamo recarci a casa mia per una spaghettata. Luigi ha detto di voler guidare la sua auto, anche se gli avevano ritirato la patente, visto che il tragitto da percorrere era breve, in quanto eravamo vicini alla sua abitazione. Entrati in macchina ci hanno visti i carabinieri che erano con un’altra persona. Hanno lasciato quest’ultima e si sono diretti verso di noi ad alta velocità. Luigi si è impaurito, e ha detto “se i carabinieri adesso ci fermano sono problemi. Ci portano in caserma e mi picchiano”. Poi si è recato verso contrada Salice, con le forze dell’ordine che ci stavano dietro con i lampeggianti e le sirene accese». Prosegue Giuseppe Monaco: “Ho cercato di dire a Luigi di fermarsi ma lui aveva paura dei carabinieri, per quello che potevano fargli. Era terrorizzato. Così è continuato l’inseguimento lungo le strade del paese. Dopo l’ultima curva di contrada Salice, comincia un rettilineo. Qui i carabinieri ci hanno quasi raggiunto. Luigi, per non farsi sorpassare, si è messo al centro della strada ma la pantera dell’Arma, nel tentativo di passare, ha toccato la Dedra dal mio lato. Luigi ha perso il controllo della Lancia». Quindi la tragedia. Il conducente è morto, mentre il compagno è finito in una scarpata.Giuseppe spiega: «Sono venuti verso di me i carabinieri. Io ho chiesto che chiamassero i soccorsi, ma uno di loro mi ha risposto in malo modo. Nel frattempo lungo la strada si fermavano persone, ma i militari li hanno allontanati». A questo punto si fa sempre più interessante la versione di Giuseppe il quale sostiene che uno dei carabinieri «è rimasto sul luogo dell’incidente, mentre il collega si è allontanato con l’auto di servizio, forse è andato a cambiare la vettura, probabilmente perché c’era rimasta della vernice. Poi il carabiniere ha chiamato i soccorsi». E il ricovero in ospedale. Giuseppe sostiene che i militari della locale stazione dell’Arma avevano dei rancori nei loro confronti «perché in un paesino piccolo spesso ti capita di litigare con qualche compaesano. Allora vieni considerato negativamente. Insomma ci assillavano. Luigi sopportava, anche le sberle e le multe che riceveva. Io invece ho conservato tutti i verbali perché volevo andare da un avvocato e denunciare questo abuso di potere. Non abbiamo mai fatto nulla di male, nessun precedente penale. Ma i carabinieri ci fermavano senza ragione, ci perquisivano davanti alla gente per umiliarci». Questa è la versione di Giuseppe Monaco. Ora alla magistratura fare chiarezza su quanto accaduto la sera del 25 novembre 2007.
Articolo tratto da “LaProvinciaCosentina” pag.7 del 3 gennaio 2008
http://laprovinciacosentina.echopress.it/archivio_pdf/20080103.pdf
E se fosse vero? Già, ma non possiamo saperlo, almeno fino a quando la giustizia non avrà fatto il suo corso. Però, alcune considerazioni si possono fare e le voglio fare, chiaramente alla luce di quello che ho letto. 50000 anime scarse i residenti nel comune, quelli noti o segnalati alle forze dell'ordine quanti saranno, spariamo alto, il 10% della popolazione(compresi i neonati e gli ultra settantenni)? Totale 500, togliamo quelli in età sotto i 10 e sopra i settanta, ne rimangono la metà. Di questi quanti sono possessori di una LanciaDedra rossa? 1(uno). Allora qual'era la necessità di ingaggiare un inseguimento da telefilm americano se sapevano benissimo a chi apparteneva la macchina, l'avevano fermato poche ore prima, era già noto, sarebbe bastato andare a bussare alla porta di casa all'ora di cena e l'avrebbero preso con la forchetta in mano. Nel racconto riportato nell'articolo, a mio avviso si evincono delle condizioni ambientali tali da farlo ritenere credibile, almeno in alcuni passaggi. Ma sono mie convinzioni e nient'altro. Certo però che se anche un quarto del racconto corrispondesse al vero non c'è da stare allegri.
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