domenica 27 gennaio 2008

Sarmenti



Puta e zappa a jinnaru
si vù ghignji lu ciddraru,

ma lu veru putazzu
ghru misi di marzu.

Quanta sapienza dettata dall'esperienza e dal duro lavoro della terra. Quattro versi fanno un piccolo trattato di agronomia. Dalla potatura delle viti, riservata agli uomini, derivava un lavoro prettamente lasciato alle donne, che generalmente svolgevano nelle buone giornate di sole tra febbraio e marzo. I tralci potati venivano lasciati al suolo ad appassire quel tanto perché rimanessero ancora docili e flessibili alla piegatura per la formazione di quella matasse di tralci chiamati "sarmienti". Quando l'operazione, detta "assarmintà" cioè del fare sarmenti, era completata i sarmenti venivano riuniti in grosse sarcine per portarli via e liberare il terreno della vigna. In luogo riparato dalla pioggia si accatastavano per completare l'essiccazione. Questo lavoro veniva condiviso nell'ambito parentale, si scambiavano le prestazioni.

Ma forse vi state chiedendo a che cavolo servivano i sarmenti?

Per chi lo sa è la scoperta dell'acqua calda, per chi lo sente nominare per la prima volta sarà una scoperta. Nell'economia domestica del mondo contadino in genere, il fuoco del camino era l'unica fonte di calore per riscaldarsi e cuocere le vivande. Usare un camino come fonte di calore per il solo riscaldamento è una cosa, usare il fuoco del camino per cuocere, e quando dico cuocere voglio dire che quello era il solo mezzo non c'era altro. Un conto cuocere i ceci nella pignatta, un'altro friggere le uova nella padella di ferro, un'altro far bollire la pentola dell'acqua per i maccheroni. Bene, Il sarmento aveva la funzione del pomello del gas delle moderne cucine. Per far partire il fuoco a camino spento, si usavano dei piccoli accorgimenti, vi ricordo che la carta se pur inventata secoli prima era merce rara, si usavano: steddri-vampogli e sarmienti, i sarmienti sappiamo cosa sono, steddri sta per schegge e vampogli sta per cime di rami secchi con le loro foglie, sottoprodotti del taglio e della spaccatura della legna. Questa era la diavolina con la quale il fuoco prendeva vita nel camino, aggiungendo a mano mano la legna di quercia-faggio e d'ulivo per la lunga durata, di castagno robinie pioppi e altro per avere fiamma, ma se si voleva il colpo di fuoco per portare ad ebollizione al momento desiderato l'acqua per calare la pasta, maccheroni, lagane, salatieddri e sdrangugli, c'era un solo modo: infilare nel trepiedi. alla sommita del fuoco e quasi a contatto del fondo della pentola, 'nu sarmientu, et voilà si sprigionava la giusta fiammata.






















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