“Io sto con la sposa” film documento sulla fuga dei profughi siriani.
Un pomeriggio d’ottobre del 2013 tre amici si incontrano alla
stazione di Milano Porta Garibaldi, per un caffè. Sono Gabriele Del Grande,
giornalista e scrittore tornato da poco tempo dalla Siria e dalla sua
devastazione, Khaled Soliman Al Nassiry, poeta ed editore, e Tareq Al Jabr,
poeta e traduttore. I tre conversano in araboe, sentendoli parlare, un ragazzo
si avvicina chiedendo loro da quale binario parta il treno per la Svezia. La risposta
dei tre è che da Milano non parte alcun treno per la Svezia, e lo invitano a
bere un caffè insieme a loro. Durante la conversazione Abdallah Sallam - questo
è il nome del ragazzo palestinese studente universitario di lingua e
letteratura inglese - racconta di essere uno dei sopravvissuti del naufragio di
Lampedusa dell’11 ottobre e di aver visto perire nella sciagura 250 persone.
Il racconto del
giovane colpisce profondamente i tre amici che incominciano a pensare come
poter aiutare il ragazzo palestinese a raggiungere la Svezia, evitandogli il
rischio di cadere in mano ai contrabbandieri di uomini che presidiano
numerosi gli scali ferroviari milanesi.
Alcuni giorni dopo parlano dell’incontro
con un loro amico regista, Antonio Augugliaro; nello scambio di idee su come
dare un aiuto concreto, a qualcuno viene in mente l’idea di organizzare un
finto matrimonio con tanto di corteo nuziale per portare a destinazione i
profughi che nel frattempo erano aumentati di numero. Si erano aggiunte altre
quattro persone , palestinesi e siriani, Ahmad Abed e Mona Al Ghabra marito e
moglie, Alaa Al-DinBjermi e Mc Manar padre e figlio.
Questo viaggio è diventato un film, “Io sto con la
sposa”, che nell’aprile scorso è stato
proiettato a Bollate nell’ambito di una manifestazione organizzata dal gruppo
Migranti, coordinato da Anna Viola, alla quale ha partecipato anche Del Grande,
uno dei protagonisti, nonché regista. Il film racconta il viaggio di tremila
chilometri fatto dal corteo nuziale per accompagnare i profughi in Svezia. E’
una storia di impegno e di solidarietà, che ci parla anche dell’attuale
situazione dei controlli in Europa.
L’idea del finto matrimonio si concretizza intorno alla
previsione che nessun poliziotto di frontiera avrebbe chiesto i documenti ad
una sposa e di conseguenza al suo corteo nuziale.Per superare la difficoltà di
trovare la sposa, Tareq si dice disponibile a travestirsi da donna, ma si fa
viva TasnimFared palestinese, loro amica,che accetta con entusiasmo il ruolo. A
questo punto mancano solo gli invitati per il corteo nuziale. I registi, in
modo discreto, contattano una serie di amici fidati che si rendono disponibili
a partecipare all’avvenimento. Accolgono l’invito Chiara Denaro, operatrice
sociale, il cuoco Daniele Regoli, l’animatrice sociale e ricercatrice Elena
Bissaca, la scrittrice e ricercatrice Marta Bellingreri,la giornalista Rachele
Masci, l’operatrice di camera Valentina Bonifacio, il fonico Tommaso Barbaro,
il fotografo di scena Marco Garofalo, l’operatore sociale Ruben Bianchetti, la
cooperante Silvia Turate, e Valeria Verdolini, sociologa del diritto e
ricercatrice. Si organizza anche una troupe di operatori per riprendere
l’impresa e farne un film, di cui fanno parte Gianni Bonardi e Marco Artusi.
Tutto è pronto per realizzare
il viaggio. Il 14 novembre 2013 di
buon’ora davanti alla stazione Centrale di Milano si forma un gruppo di
ventitré persone, tra italiani, palestinesi e siriani. Sono vestiti tutti in
modo elegante, come se stessero andando davvero ad un matrimonio.
Alla fine della proiezione di “Io sto con la sposa”, il
regista si è intrattenuto con i detenuti rispondendo ad una serie di domande e
spiegando il messaggio che il film ha voluto lanciare. Si possono distinguere
ed evidenziare alcune tematiche trattate nella narrazione. In primo luogo il
film è un prodotto artistico fatto molto bene,con i ritmi giusti del racconto
cinematografico, senza cadute di tipo pietistico o di eccessi cronachistici che
spesso caratterizzano resoconti che trattano o hanno trattato lo stesso
argomento. Il film è bello sin dall’inizio, paradossale e stupenda l’immagine
della sposa che con la mano destra cerca di proteggere il suo vestito bianco
dagli anfratti del paesino di Grimaldi Superiore mentre oltrepassa il filo
spinato che delimita il confine tra l’Italia e la Francia. Molto bella anche la
musica, un plauso ai musicisti Tommaso Leddi, Alberto Morelli e Federico Sanesi
che con maestria hanno saputo usare strumenti etnici della tradizione
mediterranea ed europea.Dal racconto dei protagonisti emerge uno spaccato di
abusi e di indifferenza da parte dell’Europa e della sua politica, che
nell’ultimo decennio ha usato due pesi e due misure. Se ad Est, verso i Paesi
dell’ex blocco sovietico, ha applicato una politica volta all’integrazione ed
alla libera circolazione delle persone, a Sud, invece, sulle rive del
Mediterraneo, ha fatto il contrario, inasprendo i controlli e le modalità di
accesso,blindando la frontiera. Al di là di questo, il film ci ha mostrato un’
Europa tollerante e solidale, che si è attivata per far sì che il viaggio si
concludesse con l’arrivo dei profughi in Svezia, come è di fatto avvenuto.
Il film è un documento unico e vero di disobbedienza civile,
che ha come scopo ultimo il bene e la solidarietà in senso lato, nello
specifico il bene di cinque persone che scappano da una guerra di devastazione,
come quella siriana, e che rappresentano tutti coloro che nel mondo sognano una
vita di pace e di comprensione tra gli uomini senza la guerra.
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