domenica 28 marzo 2010

Domenica delle Palme a Sartano

AVVISO PUBBLICO PER AFFIDAMENTO INCARICO REVISORE DEI CONTI PER IL PERIODO 1° MAGGIO 2010 – 30 APRILE 2013

Non saranno accettate domande pervenute prima della pubblicazione del presente avviso. Le stesse dovranno eventualmente essere ripresentate con le modalità e nei termini previsti dall’avviso medesimo.
Per leggere il documento originale cliccare sul titolo.

Non so se anche a Voi sparuti lettori di questo blog sembra una stranezza quanto sopra riportato, ho cercato nella rete la voce: "AVVISO PUBBLICO PER AFFIDAMENTO INCARICO REVISORE DEI CONTI", appaiono 1650  risultati, non li verificati tutti, solo trenta, a caso, in nessuno degli avvisi consultati, che si riferiscano a piccoli, medi o grandi comuni, al nord al centro o al sud, è inserita questa dicitura.
Eccesso di cautela?
Meglio prevenire?
Fate un po Voi, di stranezze è pieno il mondo.
Buona Domenica delle Palme

venerdì 26 marzo 2010

,,,,,,,,,il 27 e il 28 si vota.

Torano Castello

Oggi alle 12 la Provincia consegna lo scuolabus

TORANO CASTELLO - Un nuovo scuolabus per gli alunni toranesi sarà consegnato oggi dall’Amministrazione Provinciale di Cosenza al Comune di Torano Castello. La cerimonia di consegna dell’automezzo è prevista per le ore 12 nel piazzale antistante la casa comunale.
Accolti dal sindaco Sabatino Cariati e dall’amministrazione comunale, saranno presenti il presidente della Provincia di Cosenza,Gerardo Mario Oliverio, e l’assessore provinciale alla Pubblica Istruzione, Pietro Ruffolo. La Provincia, dunque, sempre più vicina alle comunità ed ai municipi.Tra le tredici opere programmate nell’ambito dell’edilizia scolastica, infatti, c’è anche la costruzione del nuovo Liceo Classico per il quale è stato stanziato un milione di euro.
L’esecutivo municipale della cittadina cratense ha invitato tutta la cittadinanza a partecipare all’evento.
r. gal.

Articolo tratto da IlQuotidianodellaCalabria di giovedi 25 aprile

domenica 14 marzo 2010

Lettera aperta.

Al Sig. Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Al Segretario Generale della CGIL

Ai Compagni Giorgio e Guglielmo.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Lo è stata? Io dico di NO
Lo è? Io dico di NO
Lo sarà? Lo spero
Le nuove forme di lavoro offendono i giovani in cerca di occupazione, chi non più giovane ne muore. Il lavoro in affitto o interinale o a tempo determinato non le ha imposte la destra a furia di barricate, il sindacato le ha subite sotto la spinta di certa area dei governi di centrosinistra, in cambio di ben poca cosa a favore dei lavoratori. Se poi queste nuove e avanzate forme di lavoro vengono adottate addirittura dagli ex Uffici di Collocamento e dalle organizzazioni  sindacali, l'articolo uno della nostra Costituzione non ha più ragion d'essere. Chi ha creduto e crede, come Simona e anche come chi scrive, nei valori della Democrazia, della Costituzione fatica e parecchio a continuare a credere in questi principi e comincia ad avere seri dubbi che il rispetto della democrazia e del lavoro vengano esercitati nei limiti della Costituzione.

Compagno Giorgio, compagno Guglielmo, lasciateci sperare in un mondo dove la democrazia ed il lavoro sono la faccia della stessa medaglia, lasciateci sperare in una classe politica in grado di mettere la parola fine ai lavoratori in affitto, lasciateci sperare in un futuro di lavoro certo, perché sulle incertezze non si costruisce nessun futuro.
Compagno Guglielmo, so che qualche provvedimento l'ha già preso o sta per farlo, ricordati che la Calabria non è ne la Lombardia ne il Piemonte o il NordEst. Gli abusi e i soprusi messi in atto da chiunque in Calabria  detiene poteri decisionali, opera nel pubblico, non sempre come in questo caso vengono rivendicati ad alta voce come ha fatto Simona, nella maggior parte dei casi si subisce in silenzio, forzoso o forzato.
Apprendere certe notizie su certi giornali fa ancora più male, non possiamo aggiungere al danno anche la beffa.
Con stima.
Cittadino e compagno
Tonino M.C. Chiodo

venerdì 12 marzo 2010

Una,cento, mille Simona


Che i giovani, e per giovani intendo riferirmi a quella fascia di età che oscilla fra i 25 e i 35 anni, siano oggi in una situazione inimmaginabile, se ci riferiamo ai loro genitori, è un dato di fatto. Se poi parliamo di giovani, donne e residenti in una regione come la Calabria allora la situazione cambia aspetto e forma. Nelle regioni del cosiddetto "benessere" un giovane anche se precario è una cosa, in Calabria è un'altra. In Calabria un lavoro precario e mal pagato può rappresentare qualcosa, e piuttosto che niente è meglio piuttosto. Simona incarna una parte, sempre più esigua. dei  giovani impegnati socialmente e politicamente. L'inizio e la fine di questa tormentata storia nasce e muore in un ambiente che ha rappresentato e forse stancamente continua a rappresentare il mondo del lavoro, i valori e i diritti di chi lavora. Credo che non vi sia bestemmia più grande di quella di avere dipendenti a contratto-interinali- a tempo determinato all'interno di un sindacato, le formule non si contano più ormai, , e siccome lo fan tutti dai giornali alla chiesa, dalla grande industria agli uffici di collocamento, per non essere da meno anche il sindacato si è adeguato. Di molte cose non ho certezze, ma che  la questione del lavoro legata ai giovani è come una bomba ad orologeria destinata a deflagrare in modo incontrollato, ci metto la mano sul fuoco.
Che dire a e di Simona. Continua ad avere forza e coraggio per portare avanti questa battaglia, la giustizia farà il suo corso ma i tempi sono quelli Italiani. Simona la ricordo  ragazzina.  si prodigava nella vendita dei  biglietti della riffa nelle feste dell'unità, spigliata, solare come solo a quell'età si puo essere. Credo abbia partecipato a piu feste dell'unita che a feste del suo compleanno.
E' il segno dei tempi, il segno delle difficoltà in cui si trova il sindacato italiano, il segnale dell'ultima spallata data in questi giorni all'art. 18 dello statuto dei lavoratori, della ormai insanabile divisione fra le sigle sindacali.
Solidarietà e stima  a Simona e a tutte le Simona d'Italia

Nessun commento, ma solo solidarietà a Simona e a tutte le Simone d'Italia.

Lavoro nero, maltrattamenti. E poi pressanti inviti ad andarsene senza fare «troppo casino», in cambio di soldi. Se Guglielmo Epifani avesse cercato un esempio migliore per dimostrare cosa può succedere ai lavoratori quando qualcuno aggira le tutele, cioè i contratti e la legge, non ne avrebbe potuto trovarne uno migliore. Peccato che il datore di lavoro tirato in ballo in questo caso sia proprio la sua Cgil. E che il ricorso presentato al tribunale civile di Castrovillari da una ex dipendente del sindacato calabrese sia rivolto contro di lui, in quanto segretario generale nazionale. La vicenda emerge appunto dal ricorso e da una denuncia penale, presentati a ridosso dello sciopero generale indetto dalla sola Cgil a difesa dei diritti dei lavoratori. Diritti che, nel caso di Simona M., poco più che trentenne, sembrerebbero non essere stati rispettati. La storia è riassunta nella causa di lavoro e nella denuncia, presentate dagli avvocati Giovanni Caglianone e Vincenzo Belvedere.L’ingresso nelle strutture del sindacato è arrivato attraverso un progetto di servizio civile dell’Arci. Simona viene destinata all’Inca Cgil di San Marco Argentano. Un anno a 433 euro al mese, passato con soddisfazione di tutti, tanto che al termine dei dodici mesi - si legge nel ricorso - le chiedono di rimanere nella Confederazione con una sorta di «temporanea collaborazione», in attesa di regolarizzazione. Il compenso scende a 250 euro mensili, ma Simona accetta entusiasta. È di sinistra, le piace lavorare nel patronato e sogna di difendere i diritti dei lavoratori. Passano i mesi e poi gli anni, ma di regolarizzazione non c’è traccia. E nemmeno di aumenti dello stipendio. Risulta una collaboratrice, praticamente una volontaria, in realtà lavora a tempo pieno, fa trasferte, anche all’estero, programma le «ferie» come tutti i lavoratori dipendenti, solo che le sue sono di meno. Disagi che tollera perché le piace occuparsi di pensioni ed è brava, tanto che diventa il riferimento del patronato di San Marco Argentano, l’unica a sapere usare il programma informatico per le pratiche previdenziali. Poi crede alle promesse che le fanno i capi; il responsabile del patronato e il segretario della Cgil locale. Dopo due anni le sembra di essere arrivata a due passi dal traguardo. Era un po’ delusa perché si era vista sorpassare da persone che di pensioni e pratiche non ne sapevano niente. I suoi capi decidono di ricompensarla. Non l’assumono né le aumentano lo stipendio, ma la mandano a Roma a seguire dei corsi riservati agli assunti all’Inca. Simona pensa sia la premessa per una regolarizzazione e invece niente. Alle richieste di assunzione i responsabili si irrigidiscono e, si narra nel ricorso, parlano di «situazioni economiche e politiche sfavorevoli». Eppure il patronato va bene. Viene premiato per la produttività, anche grazie al lavoro di Simona. Come tutte queste strutture sindacali prende soldi pubblici per fare pratiche e i conti sono più che a posto. Le condizioni per assumere ci sarebbero, ma gli anni passano e il contratto si allontana sempre più. Simona comincia a soffrirne e nel 2006 i medici le riscontrano una sindrome ansiosa depressiva, che sfocia anche nell’anoressia. Cercherebbe un altro lavoro, ma siamo in Calabria, non nel Triveneto. Poi il suo impiego le porta via tutta la giornata, e non le resta il tempo per andare a caccia di altre opportunità. La scelta è obbligata, restare nella Cgil e fare valere i propri diritti. Minaccia di aprire un contenzioso e di spifferare tutto. E gli effetti si fanno sentire subito. Per Simona sembra aprirsi un altro spiraglio. O almeno così le sembra. Le offrono un’assunzione a Castrovillari con contratto part time da trasformare in full time in «5-6 mesi». La condizione spiega il ricorso è «dimenticare il passato», non sporgere denuncia «evitando di creare casini alla Cgil». L’orario effettivo è da subito a tempo pieno. La paga è dignitosa, 670 euro, ma non basta perché Castrovillari è lontana da casa. Dopo cinque anni di lavoro si aspettava di più. Ma continua a credere alle promesse e prosegue a lavorare. Passano altri due anni, si arriva al 2008. Stesso copione: Simona pretende il rispetto dei patti. E, siccome non vuole regalare più nulla al suo datore, pretende di essere pagata per quanto vale e si impegna. E si attiene all’orario previsto dal contratto.
Un comportamento da sindacalista che fa imbufalire i sindacalisti. E ricominciano le pressioni. Come quelle documentate in una telefonata al segretario della Cgil di Castrovillari, che le spiega come il rispetto degli orari in un sindacato «sia un grave errore», se non «una intollerabile insubordinazione». Lei non ci sta. E la sua, da bega locale della Cgil calabrese, diventa una questione nazionale. Scopre di non essere l’unica in quelle condizioni. Insieme a un’altra dipendente della Cgil con una storia come la sua, Simona - spiega nel ricorso - va a Roma per incontrare un esponente nazionale dell’Inca Cgil. Anche in quel caso le assicurano l’assunzione «dietro esplicita richiesta - denuncia - che il caso non finisca all’orecchio dei mass media». Questa volta però non ci crede. E ha ragione. Poco dopo, infatti, viene invitata in un bar di Cosenza dove incontra un altro responsabile del patronato. Lei chiede l’assunzione a tempo pieno e invece le viene proposto «il versamento da parte della Cgil della somma di 70mila euro in cambio delle dimissioni e del silenzio». Motivazione: aveva «già creato problemi, di certo ne avrebbe creati altri in futuro». La somma è consistente, ma lei non ci sta di nuovo. Insiste sulla regolarizzazione. Le sue condizioni di salute si aggravano e trascorre gli ultimi mesi da dipendente Cgil in malattia. Tra i certificati che ha allegato alla causa, in uno si fa riferimento ad uno stato di prostrazione dovuto a mobbing. L’avvocato Caglianone per il momento non ha inteso contestare il mobbing alla Cgil ma si è riservato di farlo in seguito.Nel tentativo di conciliazione, la replica della Cgil non lascia spazi a compromessi: «Tra le parti non si è mai instaurato un rapporto di lavoro subordinato». Simona viene licenziata perché supera il limite massimo dei giorni di malattia. Poi fa quello che farebbe chiunque, su consiglio di un sindacalista: avvia la causa e chiede i danni, non per il licenziamento, ma per tutto quello che ha passato. La richiesta di danni alla Cgil da parte di Simona è di 118.986 euro per differenze retributive; 269.957 per danni e 40mila per danno alla «vita di relazione». Quasi 430mila euro in tutto. Poi c’è una denuncia penale, dell’avvocato Vincenzo Belvedere nella quale si chiede di procedere per il reato di maltrattamenti e violenza nei confronti di due segretari locali della Cgil. Ma nessuno, commenta l’avvocato Caglianone, la potrà risarcire per la salute e il tempo perso con il sindacato-datore di lavoro.
 Per finire:
Quelli che seguono sono stralci di un colloquio Tra Simona M. e un segretario territoriale della Cgil calabrese. Il testo completo è allegato alla causa che l’ex dipendente ha intentato contro i responsabili del sindacato. Simona, dopo anni da collaboratrice sottopagata all’Inca Cgil di San Marco Argentano, ottiene un contratto part time a Castrovillari, ma lavora a tempo pieno per il sindacato. Pretende la regolarizzazione, che gli era stata promessa. Ma non arriva mai.


Il segretario
«Tu devi solo lavorare, le condizioni le decide l’organizzazione, quindi questa insofferenza, questa insubordinazionale, orari, ferie e cazzi vari, sono delle cosucce che non ti fanno assolutamente onore. Tu devi rispettare le regole dell'organizzazione». (...)
Simona
«Il mio problema è stato nel momento in cui l'Inca nazionale scende qui e mi dice: c'è la possibilità che ti venga fatto un contratto all'interno della Cgil di Castrovillari, accetta perché si creeranno le condizioni per un futuro migliore. Quello che mi viene proposto a Castrovillari è stato un contratto part time a 21 ore laddove io, per sette anni...».
Il segretario
«Quello che ti viene proposto a Castrovillari è quello che l'Inca nazionale ti ha dato, è una cosa legale».
Simona
«Perfetto, se è una cosa legale e se parliamo di legalità e di regole allora ti dico, accetto».
Il segretario
«Non sei sulla giusta via. Quello che dici è ancora peggio».
Simona
«Perché?».
Il segretario
«Perché tu che sei disoccupata, tu che non hai speranza, tu che sei stata per sei anni a morire di fame, sei stata in un'organizzazione senza diritti e senza regole, ti stai ponendo il problema dell'orario di lavoro?».
Simona
«Si, me lo sto ponendo».
Il segretario
«Per me te ne puoi andare subito Simona!». (...)
Simona
«Perché?».
Il segretario
«Perché ti dico che se hai il problema dell’orario di lavoro te ne puoi anche andare! Subito!».
Simona
«Io ho un contratto part time, mi dici perché io avendo un contratto part time nella Cgil di Castrovillari, non posso rispettarlo?».
Il segretario
«Abbiamo finito te ne puoi andare» (...) «Se il tuo problema è l’orario di lavoro e cioè rispettare l’orario di lavoro part time non ti sei guardata intorno». (...) «Secondo me se tu vieni qua a chiedere di rispettare il part time finché non ti sarà riconosciuto il tempo pieno stai sbagliando. Commetti un grave errore. Io esprimo da questo momento un giudizio negativo». (...)
«Se tu rispondi al futuro tuo segretario generale che hai il problema dell'orario, perché tu vuoi rispettare l'orario e il contratto, è un modo altrettanto sbagliato di porti nei confronti della tua azienda, che non è nemmeno l'azienda del padrone. È un'azienda collettiva fatta di gente che ha buttato una vita di sacrifici per arrivare al punto di dare a te una prospettiva».

Testo tratto dagli articoli pubblicati su Il Giornale
link:http://www.ilgiornale.it/interni/vuoi_rispetto_contratto_allora_vattene_pure/11-03-2010/articolo-id=428523-page=0-comments=1
e
http://www.ilgiornale.it/interni/cgil_ecco_come_sindacati_difendono_lavoratori_mobbing_e_nessuna_tutela/11-03-2010/articolo-id=428499-page=0-comments=1

lunedì 8 marzo 2010

"Io resto in Calabria" Pippo Callipo Presidente

In bocca al lupo al Dott. Franco Cariati candidato alle elezioni della Regione Clabria nella lista:
"Io resto in Calabria" Pippo Callipo Presidente.

venerdì 5 marzo 2010

Cavallerizzo. Punto e capo?

http://www.nuovacosenza.com/cs/10/marzo/guerracavallerizzo.html

Vorremmo vedere le foto della nuova Cavallerizzo, qualcuno ce le può inviare?
Grazie

Lettera aperta

Ai Sig.
Morcavallo Silvana Presidente del Consiglio
Cariati Sabatino Aldo SINDACO
Marturano Alfonso Assessore
Fazio Raffaele Assessore
Vitale Elmiro Consigliere
Messina Piero Assessore
Ferraro Emanuele Vice Siandaco
Fazio Guido Assessore
De Buono Albino Consigliere
Micieli Gianfranco Consigliere
Cariati Francesco Consigliere
Carnevale Nancy Consigliere
Di Giorgio G. Marino Assessore esterno
Cavalcante Francesco Consigliere
Raimondo Lucio Franco Consigliere
Cori Vincenzo Consigliere
Iannace Antonio Consigliere
Perrotta Ennio Consigliere

Ai Cittadini tutti.

Siamo ormai all'ottavo mese dall'insediamento della nuova amministrazione, non è compito mio fare la disamina delle cose fatte o non fatte, se fatte bene o no, se i Sig. Consiglieri di maggioranza ed opposizione stiano facendo il loro dovere di consigliare. L'appello che rivolgiamo a tutti indistintamente, perchè tutti corresponsabili, è di dar seguito alle promesse fatte in campagna elettorale. In modo particolare mi riferisco alla promessa che riguarda la trasparenza e la visibilità dei lavori del Consiglio Comunale. Abbiamo avuto il piacere di assistere in diretta  sul sito di ToranoWeb-DampetiaTV, al  Consiglio di insediamento, da allora più nulla. Durante la campagna elettorale è stata manifestata l'intenzione, da parte di tutti, di dare ampio spazio di conoscenza e visibilità dei lavori consiliari, purtoppo però è rimasta una buona intenzione. Mi verebbe da scrivere "Vengo con questa mia a dirvi...............", ma molto piu semplicemente Vi chiedo di dare seguito a questa pratica di democrazia partecipata. Con l'apprestarsi del nono mese rimaniamo fiduciosi che questa richiesta possa vedere la luce nell'interesse dell'intera comunità.
Cordialmente
Tonino Chiodo

CALLIPO

(ASCA) - Crotone, 3 mar - ''Gli imprenditori sani sanno bene che il connubio politica-prenditori-criminalita' e' il buco nero di questa terra. Non lo invento io questo connubio. E' la storia della Calabria che da quel connubio e' condizionata. Chiunque voglia parlare di Calabria o scriverne la storia, non puo' fare a meno di seguire i flussi della spesa pubblica, dove sono finiti e come sono stati gestiti''.
Lo ha detto Pippo Callipo, candidato alla Presidenza della Regione Calabria, parlandoi ad un gruppo di imprenditori di Crotone.
''Le forze sane, della politica, delle associazioni e della societa', dovrebbe impegnarsi con un pizzico di coraggio in piu' - ha detto Callipo - per sconfiggere il partito unico della spesa pubblica che muove la politica calabrese. Spesa pubblica che, in tutti questi anni, e' finita nelle tasche di pochi, se e' vero com'e' vero, che lo sviluppo in Calabria rimane ancora un miraggio e le fasce della poverta' si allargano a vista d'occhio''.





venerdì 26 febbraio 2010

L'ETA' EVOLUTIVA

L'ETA' EVOLUTIVA - PROF. EUGENIO LO GULLO - DOTT. FRANCESCA ABRAMI - LEZIONI DI PSICOLOGIA

Clik sul titolo per collegarsi

lunedì 22 febbraio 2010

E continuano a chiamarla San(T)ità

L'Espresso "Fondazione T.Campanella" ATTUALITÀ Nato come Polo oncologico curava altri malati.
DI CLAUDIO PAPPAIANNI


UN OSPEDALE MOLTO SPECIALE
Spese folli per i dipendenti, scelti senza concorso. E la Finanza contesta il danno allo Stato
Il Polo oncologico.
CALABRIA / INCHIESTA SULLA SANITÀ

La sfida era ambiziosa: creare un polo oncologico di eccellenza in Calabria, limitare i “viaggi della speranza” e ridimensionare drasticamente l’obolo che ogni anno si continua a versare alle regioni del Nord per le cure ai propri assistiti. Peccato che, secondo le indagini della Guardia di finanza, abbia provocato un danno alle casse pubbliche da 90 milioni di euro. Si chiude così l’ultimo sogno della sanità più disastrata d’Italia. È il 2004 quando la giunta di centrodestra guidata da Giuseppe Chiaravalloti vara lo statuto della Fondazione Tommaso Campanella.
Due anni dopo il governatore Agazio Loiero inaugura il complesso in località Germaneto a Catanzaro. Un tempo record in una terra dove i lavori pubblici durano decenni: ma Loiero crede molto nel progetto, tanto da tenere per sé la delega specifica e puntarci sopra ben 50 milioni di euro all’anno. Tanti? Alla Regione dicono che serviranno a coprire le spese solo per i primi tre anni, fino cioè al riconoscimento dello status di centro di ricerca specializzato, garantendo fondi statali e investimenti privati. Il tempo, però, si consuma e l’agognata promozione non arriverà mai. Una beffa per i contribuenti, perché in tutti questi anni la Fondazione Campanella (struttura privata mai formalmente accreditata) ha operato esclusivamente succhiando risorse dalle casse già martoriate del servizio sanitario regionale. Così, nei giorni scorsi il Nucleo tributario della Guardia di finanza di Catanzaro ha contestato un danno erariale di circa 90 milioni di euro e sottoposto la vicenda alla Procura regionale della Corte dei conti. Un lavoro meticoloso, quello degli uomini del colonnello Giovanni Castrignanò, che rivela un’altra verità rispetto alla favola raccontata in questi anni ai calabresi. Solo il 45 per cento dei ricoveri nella struttura di Germaneto, cioè meno di un paziente su due, aveva una diagnosi principale oncologica: un dato bizzarro per quello che doveva diventare il punto di riferimento per la cura dei tumori in Calabria. I costi delle prestazioni erogate, inoltre, sono risultati di gran lunga inferiori a quelli per i dipendenti. «Da tempo la Cgil-Fp denunciava anomalie nella selezione del personale e negli acquisti di attrezzature», racconta a “L’espresso” Marisa Palasciano, responsabile sanità del sindacato. Infermieri, amministrativi, medici: quasi tutti sono stati assunti senza concorso, spesso a chiamata diretta. La natura privatistica della Fondazione permetteva questo e altro: così molti giovani catanzaresi hanno trovato lavoro presso il Polo oncologico anche attraverso la semplice iscrizione ad agenzie di lavoro interinale. E nella lista dei dipendenti è lungo l’elenco di parenti di amici di politici e amministratori locali:
«Dopo un approfondito studio possiamo affermare che la Fondazione Campanella
non è altro che un contenitore utile a fare assunzioni clientelari», scriveva nel febbraio 2008 la Cgil di Catanzaro. Pochi mesi dopo era la volta della commissione parlamentare di inchiesta sulla Sanità calabrese che parlava esplicitamente di «bilanci per nulla trasparenti».
Ma la giunta Loiero ha continuato a staccare regolarmente il suo assegno: soldi che invece avrebbero potuto contenere il pesante passivo da 1,7 miliardi di euro che presto porterà al commissariamento della sanità calabrese. Come se non bastasse, la soluzione prospettata con una legge regionale è il passaggio in blocco dei dipendenti all’Azienda ospedaliera Mater Domini. Vale a dire che oltre 300 persone si ritroverebbero a lavorare per una struttura pubblica senza aver mai sostenuto un regolare concorso. La legge è' stata però impugnata dal governo per vizio di costituzionalità: deciderà la Consulta. ■

domenica 14 febbraio 2010

Callipo.Lettera aperta ai Calabresi

di Pippo Callipo* - “Il Pd va verso le primarie e, a questo punto, dico: fa bene. E aggiungo: buon viaggio! Credo che non ci sia altro da dire su questo evento e che non sia più utile definirle farsa, perché tutti abbiamo capito di che si tratta. Siamo maturi e vaccinati, è tempo di assumerci ognuno di noi la nostra parte di responsabilità come cittadini della regione più povera d’Europa. Mi spiacerebbe, però, che le primarie coprissero i nodi reali con cui la Calabria è costretta a fare i conti. Da quando ho annunciato la mia candidatura, ho ricevuto un’attenzione strepitosa da parte dei calabresi. Per me questo è già un successo. Dimostra che non è vero che la Calabria è rassegnata, ci sono tantissime energie fresche che non sopportano più di vivere in una terra che ha perso la stima del Paese a causa dell’inaffidabilità della sua politica. Il desiderio di voltare pagina è molto forte ed io a quel desiderio mi rivolgo. Tuttavia noto che, nonostante la chiarezza del mio messaggio, si insinua una ‘lettura’ sbagliata con l’intento di offuscarlo. Callipo, si dice, non è espressione della politica, perciò non potrà cambiare la Calabria. In realtà, la riflessione è vera, ma solo in parte. Io non ho mai vissuto di politica, sono un imprenditore con una storia lunga ed orgogliosa che ha deciso di candidarsi per dare alla Calabria una speranza; è falsa, invece, quando si sostiene che solo se questa politica lo vuole si può cambiare. Io credo che oggi solo i calabresi possono salvare la Calabria. Questa è la sfida a cui siamo chiamati oggi. E l’arma di cui disponiamo è il voto. Girarsi dall’altra parte, ridare forza a questa politica vecchia che ha fallito e ha messo in ginocchio la nostra economia, impedendo ai nostri figli di avere prospettive e cancellando dal vocabolario della Calabria la parola futuro, sarebbe un errore gravissimo. Aldilà delle “letture” capziose, sono convinto che i calabresi, insieme a me, siano intenzionati a dare una spallata a quanto di impresentabile vi è in Calabria. E’ una scelta, la nostra, frutto di tante riflessioni sulla Calabria. Quando leggo della Calabria “palla al piede del Paese”, mi viene da segnalare le discrepanze tra la parola Calabria e la realtà che molti commentatori conoscono poco e che, a tratti, è drammatica. Molte aree sono in mano a mafie e cattiva politica il cui sfondo comune è l’illegalità diffusa nella pubblica amministrazione e l’uso distorto della spesa pubblica. La sicurezza del cittadino è a rischio, specie se osa discostarsi dal linguaggio che le regole omertose impongono; per chi non è un “prenditore” ma un imprenditore che ha a cuore il suo business, vivere in Calabria è un atto eroico. Si è costretti a scontrarsi con cento problemi. La legalità è marginale, imperversano altri codici che non sono quelli dello Stato, altre regole, altri metodi. In tutti i settori, la scuola, l’agricoltura, la sanità che non è un’azienda dedita a soddisfare i bisogni dei pazienti, ma un coacervo di interessi politico-clientelari che, ancora adesso, dinanzi allo sfascio finanziario, la politica seguita a utilizzare per costruire candidature e drogare il voto. Ora, dinanzi a tutto ciò, c’è chi teme che la Calabria col federalismo possa inabissarsi, ma la Calabria è già fuori da tutto ciò che è Europa: concorrenza democratica, competizione civile; ogni cosa è finita - nell’indifferenza dello Stato - col corrompersi, sfuggire ad ogni controllo di legalità e di trasparenza. Da sempre i miei cavalli di battaglia sono lo sviluppo e la legalità. Due motivi che si scontrano con la cattiva politica. Dunque, io chiedo ai calabresi: vogliamo che niente cambi, tenendoci ancora questa classe politica e subendo la commistione di interessi tra politicanti, “prenditori” e malavitosi? O vogliamo insieme dare una scossa? La condizione sociale della Calabria è straordinaria, occorrono, per un periodo di transizione, risposte forti e convergenti, per ristabilire il principio di legalità. Ridare dignità alla Calabria ed ossigeno all’economia stagnante: da qui prende le mosse il mio impegno, che la "casta" vede cosi male perché io non sono uno di loro. Alle soglie del voto per la Regione, l’opportunità che io vorrei offrire è una liberazione dalle catene. Ci sono politici nazionali che, in verità, hanno compreso le difficoltà della Calabria e con loro, sui temi della legalità e dello sviluppo, avrei voluto costruire qualcosa per la mia terra. Sulla Calabria ed i suoi guai, però, l’impressione che ho finora avuto è che chi parla e scrive della Calabria spesso non sappia neppure dove sta di casa, perché parla di una Calabria ancora in bilico a cui è data una possibilità. Ma da chi? Nessuno intende prendere in mano il destino della Calabria, ognuno lo evita perché teme di sporcarsi. A questo è ridotta la nostra terra. Siamo noi calabresi che dobbiamo decidere il nostro futuro. Quando ho espresso il desiderio di fare qualcosa per la mia regione, alcuni mi hanno chiesto: ma chi te lo fa fare? Fatti gli affari tuoi, lascia che i calabresi si tengano la zavorra che meritano. Il problema, però, non è solo affettivo, almeno per me, è anche economico. La Calabria ed Il Sud che vedo io da imprenditore, ogni giorno, sono persi. Per la democrazia e per lo Stato italiano, che li hanno usati per tanti scopi, prima l’industrializzazione del Nord, poi le clientele per le cordate pentapartitiche e, insieme ad altri centri di potere, per lucrare le ingenti risorse nazionali e comunitarie finite nelle tasche di pochi. Il Paese, e anche il Sud, reggono per via della moltitudine di piccole realtà economiche che, a costo di sacrifici immani, spingono la carretta. Il punto è che lo Stato non funziona. Quante opere pubbliche incompiute ci sono in Calabria? Nessuno risponde. Eppure si vorrebbe fare un Ponte che sarebbe un disastro. E i nostri politici sono così poco autorevoli che nessuno a Roma li ascolta (la vertenza del porto di Gioia Tauro è emblematica). E poi l’ostacolo delle mafie. Una lotta sistematica neppure si intravede. Il Governo manda i soldati per combattere la microcriminalità al Nord, io ho chiesto, ma invano, l’esercito contro la ‘ndrangheta e per il controllo del territorio. La mafia non ha ideologie, è un cancro per il Sud e per chi ci vive, ma come può la parte migliore del Sud ragionevolmente fronteggiarla, se dal centro continuamente si premia il peggio del Sud, se i flussi di danaro pubblico si disperdono? Qui è lo Stato italiano che ha fallito. Ogni giorno che passa il Sud scivola più a Sud. Lo Stato dovrebbe aiutare quello che nell’inferno del Sud resiste, e che, se aiutato, potrebbe contrastare l’illegalità che spesso ha nella cattiva politica un alleato. Dovrebbe farlo con atti concreti e non con proclami; e dovrebbe farlo mettendo in carcere la mafia con la penna e contrastando la mafia che spara. Io dico che il Sud non è una Repubblica a sé, ma della Repubblica italiana è parte e, purtroppo, questa Repubblica, con l’impotenza a risolvere i problemi gravi del Sud, dimostra di essere una Repubblica fragile. A non funzionare non è il Sud (che ha centomila colpe) ma l’Italia e le sue classi dirigenti. Se vogliamo tentare di svoltare, dobbiamo organizzare il meglio che vi è nello Stato con il meglio che vi è nel Sud. Ognuno dovrebbe dire con chi sta e per fare cosa. In Calabria, però, a chiarirsi le idee deve essere anzitutto il calabrese: intendiamo andare avanti con questa brutta politica o decidiamo di cambiare? Io propongo di sconvolgere gli attuali assetti politici che si reggono su taciti compromessi e scambi di favori. Proprio qui, oltre alle tante associazioni che mi sono vicine, entrano in campo Idv, i Radicali, il partito “Per il Sud” che hanno condiviso il progetto di rinnovamento. Noi non intendiamo impossessarci di un angolino della Regione per soddisfare appetiti. Ma vorremmo - questo è il disegno - chiamare a raccolta il meglio della Calabria e rompere, con una rivoluzione pacifica, gli asfittici equilibri politici che hanno condannato la regione al sottosviluppo”.

*Imprenditore - Candidato alla Presidenza della Regione Calabria

domenica 24 gennaio 2010

La melma avanza

E' difficile, anzi impossibile, seguire le attività dei vari partiti, in special modo quelli della sinistra,in questo periodo di Omerica memoria, dove durante il giorno abili mani e menti fine tessono variegati intrecci per poi disfarli di notte. Avevo, in questo piccolo spazio, pubblicato un sondaggio, l'ho tolto, non ha senso, sarebbe stato come pretendere di indovinare una cinquina al gioco del lotto. Mi riprometto di ripubblicarlo dopo la definitiva presentazione dei candidati,manca un mese abbondante, molte cose succederanno ancora, si naviga a vista e la confusione è totale.
Teniamoci in vista, Carnevale arriverà comunque.

mercoledì 13 gennaio 2010

Poesia di Franco Costabile

Il canto dei nuovi migranti




Ce ne andiamo.

Ce ne andiamo via.



Dal torrente Aron

Dalla pianura di Simeri.



Ce ne andiamo

con dieci centimetri

di terra secca sotto le scarpe

con mani dure con rabbia con niente.



Vigna vigna

fiumare fiumare

Doppiando capo Schiavonea.



Ce ne andiamo

dai campi d'erba

tra il grido

delle quaglie e i bastioni.



Dai fichi

più maledetti

a limite

con l'autunno e con l'Italia.



Dai paesi

più vecchi più stanchi

in cima

al levante delle disgrazie.



Cropani

Longobucco

Cerchiara Polistena

Diamante

Nao

Ionadi Cessaniti

Mammola

Filandari...



Tufi.

Calcarei

immobili

massi eterni

sotto pena di scomunica.



Ce ne andiamo

rompendo Petrace

con l'ultima dinamite.



Senza

sentire più

il nome Calabria

il nome disperazione.



Troppo tempo

siamo stati nei monti

con un trombone fra le gambe.

Adesso

ce ne scendiamo

muti per le scorciatoie.



Dai Conflenti

dalle Pietre Nere da Ardore.



Dal sole di Cutro

pazzo sulla pianura

dalla sua notte, brace di ucccelli.



Troppo tempo

a gridarci nella bettola

il sette di spade

a buttare il re e l’asso.

Troppo tempo

a raccontarci storie

chiamando onore una coltellata

e disgrazia non avere padrone.

Troppo

troppo tempo

a restarcene zitti

quando bisognava parlare, basta.



Noi

vivi

e battezzati

dannati.

Noi

violenti

sanguinari

con l'accetta

conficcata

nella scorza

dei mesi degli anni.

Noi morti

ce ne andiamo

in piedi

sulla carretta.

Avanzano le ruote

cantano i sonagli verso i confini.



Via!

Via

dai feudi

dagli stivali dai cani

dai larghi mantelli.



Ussahè…



Via

Via!



Via

dai baroni.



I Lucifero

I conti Capialbi

I Sòlima gli Spada

I Ruffo

I Gallucci.



Usciamo

dai bassi terranei

dal sudario

dei loro trappeti

dai parmenti

della vendemmia

profondi

a lume di candela

e senza respirazione.



Via

dai Pretori

dalla Polizia

dagli uomini d'onore.





Non chiamateci.

non richiamateci.



È scritto

nei comprensori

È scritto

nei fossi nei canali

È scritto

in centomila rettangoli

alto

su due pali

Cassa del Mezzogiorno

ma io non so

che cosa

si stia costruendo

se la notte

o il giorno.



Ci sono raffiche

su vecchie facciate

che nessuno leva: l'occhio

del Mitra

è più preciso

del filo a piombo della Rinascita.



Addio,

terra.

Terra mia

lunga

silenziosa.



Un nome

non lo ebbe

la gioventù

non stanchiamoci adesso

che ci chiamano col proprio cognome



Nnoi

Noi

ce ne siamo

già andati.



Dai catoi

dagli sterchi orizzonti.



Da Seminara

dalle civette di Cropalati.



Dai figli

appena nati

inchiodati nella madia

calati dalle frane

dall'Aspromonte

dei nostri pensieri.

Spegnete

le lampadine della piazza.

scordiamoci

delle scappellate

dei sorrisi

dei nomi segnati

e pronunciati per trentasei ore.



Cassiani

Cassiani

Cassiani

Cassiani

Foderaro Galati

Foderaro

Antoniozzi

Antoniozzi

Cassiani

Cassiani



La croce

sulla croce,

diceva l'arciprete.

E una croce

sulla croce,

segnavano le donne.

andavano

e venivano.



Foderaro

Antoniozzi

Antoniozzi



È stato

sempre silenzio.

silenzio

duro

della Sila

delle sue nevicate a lutto.



È stato

il pane a credenza

portato

sotto lo scialle

all'altezza del cuore.

Sono stati

i nostri occhi stanchi

guardando

le finestre illuminate

della prefettura.



Carabinieri,

fermatevi.



Guardate,

giratevi

non c'è nemmeno un cane.

Siamo

tutti lontani

latitanti.



Fermatevi.



Rrestano

gli zapponi

dietro la porta,

icieli,

i vigneti.

La pietra

di sale sulla tavola.



I vecchi

che non si muovono

dalla sedia, soli

con la peronospera nei polmoni.

Le capre

la voce lunga

degli ultimi maiali scannati.

L'argento

a forma a forma di cuore, nella chiesa.

Le ragnatele

dietro i vetri, le madonne.

la ragnatela del Carmine

la ragnatela di Portosalvo

la ragnatela della Quercia



Restano le donne

consumate da nove a nove mesi

con le macchie

della denutrizione

della fame.



Le addolorate

Le pietà di tutti gli ulivi,

Lavando

rattoppando

cucinando su due mattoni

raccogliendo

spine e cicoria.



Cancellateci

dall'esattoria



Dai municipi

dai registri

dai calamai

della nascita.



Levateci

il I giorno di scuola

senza matita

senza quaderno

senza la camicia nuova.



Toglieteci

dalle galere.

Non ubriacateci.

Liberateci

dai coltelli di Gizzeria

dal sangue dei portoni.

Non chiamateci da Scilla

con la leggenda

del sole

del cielo

e del mare.



Siamo

ben legati

a una vita

a una catena di montaggio



Scioglieteci

dai limoni

dai salti

del pescespada.



Allontanateci

da Palmi e da Gioia.



Noi

vivi

Noi

morti

presi

e impiccati

cento volte

ce ne siamo già andati

staccandosi dai rami,

dai manifesti della repubblica.



Di notte

come lupi

come contrabbandieri

come ladri.



Senza un'idea dei giorni

delle ciminiere degli altiforni.

Siamo

in 700 mila

su appena due milioni.

Siamo

i marciapiedi

più affollati.

Siamo

i treni più lunghi.

Siamo

le braccia

le unghie d'Europa.

Il sudore Diesel.

Siamo

il disonore

la vergogna dei governi.



Il Tronco

di quercia bruciata

il monumento al Minatore Ignoto



Siamo

l'odore

di cipolla

che rinnova

le viscere d'Europa



Siamo

un'altra volta

la fantasia

degli dei.

Milioni di macchine

escono targate Magna Grecia.

Noi siamo

le giacche appese

nelle baracche nei pollai d'Europa.



Addio,

terra.

Salutiamo,

è ora.

martedì 12 gennaio 2010

Rosarno



ABBIAMO SMARRITO IL SENSO DELLA NOSTRA STORIA

di VITO TETI

Sprofondati sui nostri divani, li osserviamo mentre fuggono scacciati da Rosarno. Noi vagamente impegnati nei propositi buoni per smaltire gli stravizi alimentari delle feste, le nostre pattumiere appena svuotate da chili di pane, panettoni e cibi che li avrebbero nutriti per un mese almeno, lì nei baracconi dismessi, dove non cercavano riparo nemmeno gli animali. Sfilano le immagini nelle nostre case comode - magari incompiute, frutto di sacrifici di quei lager più vergognosi forse di quelli nazisti. Noi che sprechiamo acqua come nessuno in Europa, qui nella terra dei profumi, agrumi spremuti a sangue? Li vediamo improvvisare un muro di vecchi copertoni d'automobile e qualche calderone d'acqua calda, pur di riuscire a lavare via fatiche inimmaginabili. Noi che siamo stati emigrati, che siamo fuggiti, che abbiamo conosciuto il razzismo degli altri, ci chiediamo ora cosa abbiamo fatto per impedire questo strazio. Noi, eredi degli emigrati che sono stati chiamati gipsy, zingari, «razza maledetta», «uccisori di Cristo», noi nipoti e figli di uomini vissuti nelle baracche e morti nelle miniere, pensiamo mai ai sentimenti di tutta questa umanità dolente?
Siamo eredi di mille popolazioni “straniere”, abitiamo una terra crogiuolo di popoli, ma non li abbiamo trattati come uomini. Dell'ospitalità facciamo vanto e retorica, proclamiamo l'odio per ogni forma di violenza, noi che comprendiamo la paura della gente di Rosarno e la sua irritazione per la “guerriglia” degli immigrati, noi che non pensiamo che siamo diventati improvvisamente razzisti, noi che abbiamo contribuito con la nostra ipocrisia, i nostri silenzi, le nostre complicità a trasformare queste persone in fiere arrabbiate, ma forse le bestie inferocite siamo proprio noi, pronti a braccare, o ad applaudire chi stana le prede. Noi figli dei contadini che hanno occupato le terre, noi che abbiamo sfilato nella piana contro i caporali e abbiamo pianto Giuseppe Valerioti, ucciso dalla ndrangheta, abbiamo perso la memoria, smarrito il senso della nostra storia. Noi che abbiamo cercato pane e lavoro in tutto il mondo, li guardiamo fuggire su un pullman, scortati dalla polizia per evitare il linciaggio. Noi “fieri” e “forti calabresi”, noi che gliela abbiamo “fatta pagare a questi sporchi negri”, noi che “abbia - mo liberato il territorio dalla feccia dell'umanità”, quando e perché abbiamo accettato di perdere la libertà, siamo caduti sotto il governo della ndrangheta, che manipola le nostre vite, le nostre case, i nostri legami, le nostre passioni? Abbiamo provato paura e terrore vedendo le macchine incendiate, i negozi assediati, ma dovremmo pensare anche alla rabbia di costoro, che hanno paura, fame, sono disperati e feriti.
Fermiamoci a pensare a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che chiede scusa agli immigrati e a come possiamo confortarlo, come sapremo riparare a una vergogna, conciliarci con i luoghi. Sostiamo pensosi, noi che a Riace ci siamo commossi nel vedere il sin- daco e gli abitanti tutti attendere nel buio della notte le ombre dei palestinesi, cacciati da tutte le terre, scarti degli scarti. Continuiamo pure ad agitarci, a lamentarci, ad esasperarci, ma al- meno questi nuovi schiavi forse possono restituirci il senso della nostra schiavitù, questi derelitti ci fanno avvertire il peso della nostra indifferenza. Noi ossessionati dall'immagine di noi stessi, suscettibili retori della calabresità, sempre pronti a considerarci i primi, noi che “ci pare brutto”, noi che i leghisti ce l'hanno con i meridionali, cosa risponderemo, nel nostro cuore, a quelle persone che fuggono dicendo che la Calabria è la regione più razzista d'Europa, il luogo da cui scappare e dove non torna- re? Noi che abbiamo preferito chiudere gli occhi, tanto ci sentivamo a posto con i nostri articoli, le nostre denunce, la nostra carità comoda, la nostra ospitalità a buon mercato, come contrasteremo ora i leghismi e i localismi? Con quali occhi guarderemo le donne che si occupano dei nostri vecchi, gli immigrati che riempiono i nostri vuoti, gli africani che popolano le campagne che abbiamo abbandonato? Noi che ci dedichiamo allo struscio, che pregustiamo già il pranzo della domenica, nell'attesa della partitissima Juve Milan, incrociando tra uno zapping e l'altro quei volti spenti, macerie di esseri umani spediti nei centri di accoglienza, avremo il coraggio di pensare che questi paesi ora sono ancora più vuoti, più soli, più poveri, senza milleduecento fratelli, vittime forse delle nostre stesse ombre? Noi che non abbiamo dubbi e noi che non abbiamo certezze, troviamo il coraggio di fissare questa pagina dolorosa della nostra terra che evoca, e non sembri un'esagerazione, l'eccidio dei Valdesi voluto dagli oppressori del passato. Noi che ci lamentiamo e non ci ribelliamo, che conosciamo la retorica e le perversioni dell'onore e magari manteniamo ancora il senso della dignità e proviamo vergogna, troviamolo il coraggio di ringraziare questi emigrati che sono fuggiti muti e increspati come le nubi di questi giorni che hanno cancellato le nuvole bionde e sorridenti della Piana. Chiediamoci noi - tanto e tale è il disagio - che idea abbiamo di questo noi, chi siamo diventati, noi. E come sarei tentato di chiamarmi fuori da questo noi!
Vito Teti

Tratto dal Quotidiano della Calabria del 11-01-2010