sabato 30 gennaio 2010
domenica 24 gennaio 2010
La melma avanza
E' difficile, anzi impossibile, seguire le attività dei vari partiti, in special modo quelli della sinistra,in questo periodo di Omerica memoria, dove durante il giorno abili mani e menti fine tessono variegati intrecci per poi disfarli di notte. Avevo, in questo piccolo spazio, pubblicato un sondaggio, l'ho tolto, non ha senso, sarebbe stato come pretendere di indovinare una cinquina al gioco del lotto. Mi riprometto di ripubblicarlo dopo la definitiva presentazione dei candidati,manca un mese abbondante, molte cose succederanno ancora, si naviga a vista e la confusione è totale.
Teniamoci in vista, Carnevale arriverà comunque.
Teniamoci in vista, Carnevale arriverà comunque.
mercoledì 13 gennaio 2010
Poesia di Franco Costabile
Il canto dei nuovi migranti
Ce ne andiamo.
Ce ne andiamo via.
Dal torrente Aron
Dalla pianura di Simeri.
Ce ne andiamo
con dieci centimetri
di terra secca sotto le scarpe
con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna
fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo
dai campi d'erba
tra il grido
delle quaglie e i bastioni.
Dai fichi
più maledetti
a limite
con l'autunno e con l'Italia.
Dai paesi
più vecchi più stanchi
in cima
al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari...
Tufi.
Calcarei
immobili
massi eterni
sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo
rompendo Petrace
con l'ultima dinamite.
Senza
sentire più
il nome Calabria
il nome disperazione.
Troppo tempo
siamo stati nei monti
con un trombone fra le gambe.
Adesso
ce ne scendiamo
muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di ucccelli.
Troppo tempo
a gridarci nella bettola
il sette di spade
a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo
a raccontarci storie
chiamando onore una coltellata
e disgrazia non avere padrone.
Troppo
troppo tempo
a restarcene zitti
quando bisognava parlare, basta.
Noi
vivi
e battezzati
dannati.
Noi
violenti
sanguinari
con l'accetta
conficcata
nella scorza
dei mesi degli anni.
Noi morti
ce ne andiamo
in piedi
sulla carretta.
Avanzano le ruote
cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via
dai feudi
dagli stivali dai cani
dai larghi mantelli.
Ussahè…
Via
Via!
Via
dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo
dai bassi terranei
dal sudario
dei loro trappeti
dai parmenti
della vendemmia
profondi
a lume di candela
e senza respirazione.
Via
dai Pretori
dalla Polizia
dagli uomini d'onore.
Non chiamateci.
non richiamateci.
È scritto
nei comprensori
È scritto
nei fossi nei canali
È scritto
in centomila rettangoli
alto
su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so
che cosa
si stia costruendo
se la notte
o il giorno.
Ci sono raffiche
su vecchie facciate
che nessuno leva: l'occhio
del Mitra
è più preciso
del filo a piombo della Rinascita.
Addio,
terra.
Terra mia
lunga
silenziosa.
Un nome
non lo ebbe
la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome
Nnoi
Noi
ce ne siamo
già andati.
Dai catoi
dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli
appena nati
inchiodati nella madia
calati dalle frane
dall'Aspromonte
dei nostri pensieri.
Spegnete
le lampadine della piazza.
scordiamoci
delle scappellate
dei sorrisi
dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani
La croce
sulla croce,
diceva l'arciprete.
E una croce
sulla croce,
segnavano le donne.
andavano
e venivano.
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
È stato
sempre silenzio.
silenzio
duro
della Sila
delle sue nevicate a lutto.
È stato
il pane a credenza
portato
sotto lo scialle
all'altezza del cuore.
Sono stati
i nostri occhi stanchi
guardando
le finestre illuminate
della prefettura.
Carabinieri,
fermatevi.
Guardate,
giratevi
non c'è nemmeno un cane.
Siamo
tutti lontani
latitanti.
Fermatevi.
Rrestano
gli zapponi
dietro la porta,
icieli,
i vigneti.
La pietra
di sale sulla tavola.
I vecchi
che non si muovono
dalla sedia, soli
con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L'argento
a forma a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele
dietro i vetri, le madonne.
la ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia
Restano le donne
consumate da nove a nove mesi
con le macchie
della denutrizione
della fame.
Le addolorate
Le pietà di tutti gli ulivi,
Lavando
rattoppando
cucinando su due mattoni
raccogliendo
spine e cicoria.
Cancellateci
dall'esattoria
Dai municipi
dai registri
dai calamai
della nascita.
Levateci
il I giorno di scuola
senza matita
senza quaderno
senza la camicia nuova.
Toglieteci
dalle galere.
Non ubriacateci.
Liberateci
dai coltelli di Gizzeria
dal sangue dei portoni.
Non chiamateci da Scilla
con la leggenda
del sole
del cielo
e del mare.
Siamo
ben legati
a una vita
a una catena di montaggio
Scioglieteci
dai limoni
dai salti
del pescespada.
Allontanateci
da Palmi e da Gioia.
Noi
vivi
Noi
morti
presi
e impiccati
cento volte
ce ne siamo già andati
staccandosi dai rami,
dai manifesti della repubblica.
Di notte
come lupi
come contrabbandieri
come ladri.
Senza un'idea dei giorni
delle ciminiere degli altiforni.
Siamo
in 700 mila
su appena due milioni.
Siamo
i marciapiedi
più affollati.
Siamo
i treni più lunghi.
Siamo
le braccia
le unghie d'Europa.
Il sudore Diesel.
Siamo
il disonore
la vergogna dei governi.
Il Tronco
di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto
Siamo
l'odore
di cipolla
che rinnova
le viscere d'Europa
Siamo
un'altra volta
la fantasia
degli dei.
Milioni di macchine
escono targate Magna Grecia.
Noi siamo
le giacche appese
nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio,
terra.
Salutiamo,
è ora.
Ce ne andiamo.
Ce ne andiamo via.
Dal torrente Aron
Dalla pianura di Simeri.
Ce ne andiamo
con dieci centimetri
di terra secca sotto le scarpe
con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna
fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo
dai campi d'erba
tra il grido
delle quaglie e i bastioni.
Dai fichi
più maledetti
a limite
con l'autunno e con l'Italia.
Dai paesi
più vecchi più stanchi
in cima
al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari...
Tufi.
Calcarei
immobili
massi eterni
sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo
rompendo Petrace
con l'ultima dinamite.
Senza
sentire più
il nome Calabria
il nome disperazione.
Troppo tempo
siamo stati nei monti
con un trombone fra le gambe.
Adesso
ce ne scendiamo
muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di ucccelli.
Troppo tempo
a gridarci nella bettola
il sette di spade
a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo
a raccontarci storie
chiamando onore una coltellata
e disgrazia non avere padrone.
Troppo
troppo tempo
a restarcene zitti
quando bisognava parlare, basta.
Noi
vivi
e battezzati
dannati.
Noi
violenti
sanguinari
con l'accetta
conficcata
nella scorza
dei mesi degli anni.
Noi morti
ce ne andiamo
in piedi
sulla carretta.
Avanzano le ruote
cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via
dai feudi
dagli stivali dai cani
dai larghi mantelli.
Ussahè…
Via
Via!
Via
dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo
dai bassi terranei
dal sudario
dei loro trappeti
dai parmenti
della vendemmia
profondi
a lume di candela
e senza respirazione.
Via
dai Pretori
dalla Polizia
dagli uomini d'onore.
Non chiamateci.
non richiamateci.
È scritto
nei comprensori
È scritto
nei fossi nei canali
È scritto
in centomila rettangoli
alto
su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so
che cosa
si stia costruendo
se la notte
o il giorno.
Ci sono raffiche
su vecchie facciate
che nessuno leva: l'occhio
del Mitra
è più preciso
del filo a piombo della Rinascita.
Addio,
terra.
Terra mia
lunga
silenziosa.
Un nome
non lo ebbe
la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome
Nnoi
Noi
ce ne siamo
già andati.
Dai catoi
dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli
appena nati
inchiodati nella madia
calati dalle frane
dall'Aspromonte
dei nostri pensieri.
Spegnete
le lampadine della piazza.
scordiamoci
delle scappellate
dei sorrisi
dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani
La croce
sulla croce,
diceva l'arciprete.
E una croce
sulla croce,
segnavano le donne.
andavano
e venivano.
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
È stato
sempre silenzio.
silenzio
duro
della Sila
delle sue nevicate a lutto.
È stato
il pane a credenza
portato
sotto lo scialle
all'altezza del cuore.
Sono stati
i nostri occhi stanchi
guardando
le finestre illuminate
della prefettura.
Carabinieri,
fermatevi.
Guardate,
giratevi
non c'è nemmeno un cane.
Siamo
tutti lontani
latitanti.
Fermatevi.
Rrestano
gli zapponi
dietro la porta,
icieli,
i vigneti.
La pietra
di sale sulla tavola.
I vecchi
che non si muovono
dalla sedia, soli
con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L'argento
a forma a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele
dietro i vetri, le madonne.
la ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia
Restano le donne
consumate da nove a nove mesi
con le macchie
della denutrizione
della fame.
Le addolorate
Le pietà di tutti gli ulivi,
Lavando
rattoppando
cucinando su due mattoni
raccogliendo
spine e cicoria.
Cancellateci
dall'esattoria
Dai municipi
dai registri
dai calamai
della nascita.
Levateci
il I giorno di scuola
senza matita
senza quaderno
senza la camicia nuova.
Toglieteci
dalle galere.
Non ubriacateci.
Liberateci
dai coltelli di Gizzeria
dal sangue dei portoni.
Non chiamateci da Scilla
con la leggenda
del sole
del cielo
e del mare.
Siamo
ben legati
a una vita
a una catena di montaggio
Scioglieteci
dai limoni
dai salti
del pescespada.
Allontanateci
da Palmi e da Gioia.
Noi
vivi
Noi
morti
presi
e impiccati
cento volte
ce ne siamo già andati
staccandosi dai rami,
dai manifesti della repubblica.
Di notte
come lupi
come contrabbandieri
come ladri.
Senza un'idea dei giorni
delle ciminiere degli altiforni.
Siamo
in 700 mila
su appena due milioni.
Siamo
i marciapiedi
più affollati.
Siamo
i treni più lunghi.
Siamo
le braccia
le unghie d'Europa.
Il sudore Diesel.
Siamo
il disonore
la vergogna dei governi.
Il Tronco
di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto
Siamo
l'odore
di cipolla
che rinnova
le viscere d'Europa
Siamo
un'altra volta
la fantasia
degli dei.
Milioni di macchine
escono targate Magna Grecia.
Noi siamo
le giacche appese
nelle baracche nei pollai d'Europa.
Addio,
terra.
Salutiamo,
è ora.
martedì 12 gennaio 2010
Rosarno
ABBIAMO SMARRITO IL SENSO DELLA NOSTRA STORIA
di VITO TETI
Sprofondati sui nostri divani, li osserviamo mentre fuggono scacciati da Rosarno. Noi vagamente impegnati nei propositi buoni per smaltire gli stravizi alimentari delle feste, le nostre pattumiere appena svuotate da chili di pane, panettoni e cibi che li avrebbero nutriti per un mese almeno, lì nei baracconi dismessi, dove non cercavano riparo nemmeno gli animali. Sfilano le immagini nelle nostre case comode - magari incompiute, frutto di sacrifici di quei lager più vergognosi forse di quelli nazisti. Noi che sprechiamo acqua come nessuno in Europa, qui nella terra dei profumi, agrumi spremuti a sangue? Li vediamo improvvisare un muro di vecchi copertoni d'automobile e qualche calderone d'acqua calda, pur di riuscire a lavare via fatiche inimmaginabili. Noi che siamo stati emigrati, che siamo fuggiti, che abbiamo conosciuto il razzismo degli altri, ci chiediamo ora cosa abbiamo fatto per impedire questo strazio. Noi, eredi degli emigrati che sono stati chiamati gipsy, zingari, «razza maledetta», «uccisori di Cristo», noi nipoti e figli di uomini vissuti nelle baracche e morti nelle miniere, pensiamo mai ai sentimenti di tutta questa umanità dolente?
Siamo eredi di mille popolazioni “straniere”, abitiamo una terra crogiuolo di popoli, ma non li abbiamo trattati come uomini. Dell'ospitalità facciamo vanto e retorica, proclamiamo l'odio per ogni forma di violenza, noi che comprendiamo la paura della gente di Rosarno e la sua irritazione per la “guerriglia” degli immigrati, noi che non pensiamo che siamo diventati improvvisamente razzisti, noi che abbiamo contribuito con la nostra ipocrisia, i nostri silenzi, le nostre complicità a trasformare queste persone in fiere arrabbiate, ma forse le bestie inferocite siamo proprio noi, pronti a braccare, o ad applaudire chi stana le prede. Noi figli dei contadini che hanno occupato le terre, noi che abbiamo sfilato nella piana contro i caporali e abbiamo pianto Giuseppe Valerioti, ucciso dalla ndrangheta, abbiamo perso la memoria, smarrito il senso della nostra storia. Noi che abbiamo cercato pane e lavoro in tutto il mondo, li guardiamo fuggire su un pullman, scortati dalla polizia per evitare il linciaggio. Noi “fieri” e “forti calabresi”, noi che gliela abbiamo “fatta pagare a questi sporchi negri”, noi che “abbia - mo liberato il territorio dalla feccia dell'umanità”, quando e perché abbiamo accettato di perdere la libertà, siamo caduti sotto il governo della ndrangheta, che manipola le nostre vite, le nostre case, i nostri legami, le nostre passioni? Abbiamo provato paura e terrore vedendo le macchine incendiate, i negozi assediati, ma dovremmo pensare anche alla rabbia di costoro, che hanno paura, fame, sono disperati e feriti.
Fermiamoci a pensare a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che chiede scusa agli immigrati e a come possiamo confortarlo, come sapremo riparare a una vergogna, conciliarci con i luoghi. Sostiamo pensosi, noi che a Riace ci siamo commossi nel vedere il sin- daco e gli abitanti tutti attendere nel buio della notte le ombre dei palestinesi, cacciati da tutte le terre, scarti degli scarti. Continuiamo pure ad agitarci, a lamentarci, ad esasperarci, ma al- meno questi nuovi schiavi forse possono restituirci il senso della nostra schiavitù, questi derelitti ci fanno avvertire il peso della nostra indifferenza. Noi ossessionati dall'immagine di noi stessi, suscettibili retori della calabresità, sempre pronti a considerarci i primi, noi che “ci pare brutto”, noi che i leghisti ce l'hanno con i meridionali, cosa risponderemo, nel nostro cuore, a quelle persone che fuggono dicendo che la Calabria è la regione più razzista d'Europa, il luogo da cui scappare e dove non torna- re? Noi che abbiamo preferito chiudere gli occhi, tanto ci sentivamo a posto con i nostri articoli, le nostre denunce, la nostra carità comoda, la nostra ospitalità a buon mercato, come contrasteremo ora i leghismi e i localismi? Con quali occhi guarderemo le donne che si occupano dei nostri vecchi, gli immigrati che riempiono i nostri vuoti, gli africani che popolano le campagne che abbiamo abbandonato? Noi che ci dedichiamo allo struscio, che pregustiamo già il pranzo della domenica, nell'attesa della partitissima Juve Milan, incrociando tra uno zapping e l'altro quei volti spenti, macerie di esseri umani spediti nei centri di accoglienza, avremo il coraggio di pensare che questi paesi ora sono ancora più vuoti, più soli, più poveri, senza milleduecento fratelli, vittime forse delle nostre stesse ombre? Noi che non abbiamo dubbi e noi che non abbiamo certezze, troviamo il coraggio di fissare questa pagina dolorosa della nostra terra che evoca, e non sembri un'esagerazione, l'eccidio dei Valdesi voluto dagli oppressori del passato. Noi che ci lamentiamo e non ci ribelliamo, che conosciamo la retorica e le perversioni dell'onore e magari manteniamo ancora il senso della dignità e proviamo vergogna, troviamolo il coraggio di ringraziare questi emigrati che sono fuggiti muti e increspati come le nubi di questi giorni che hanno cancellato le nuvole bionde e sorridenti della Piana. Chiediamoci noi - tanto e tale è il disagio - che idea abbiamo di questo noi, chi siamo diventati, noi. E come sarei tentato di chiamarmi fuori da questo noi!
Vito Teti
Tratto dal Quotidiano della Calabria del 11-01-2010
sabato 2 gennaio 2010
venerdì 1 gennaio 2010
mercoledì 30 dicembre 2009
domenica 29 novembre 2009
martedì 10 novembre 2009
Ha visto passare.........................
venerdì 6 novembre 2009
Aspettando il nuovo
Sono passati, ormai, 100 e più giorni dall'insediamento della nuova amministrazione nel nostro Comune; le promesse e le aspettative sono tante.
Mi aspettavo di leggere , attraverso il nuovo sito internet, il programma non dei castelli in aria, quella e roba da campagna elettorale, ma del progetto poltico-amministrativo per gli anni a venire. La occasione per presentarlo poteva essere durante i lavori del primo Consiglio Comunale, ma non se ne trova traccia. Ho letto le delibere, in parte atti dovuti per pregresse decisioni dell'amministrazione uscente, le altre normalissima attualità. Capisco che i grandi progetti hanno lunghe gestazioni, ma non è di questi che voglio interessarmi; mi interessa di più la "normalità", sapere che c'è una amministrazione che si occupa della quotidianità dei cittadini amministrati.
La manutenzione delle strade, la segnaletica: a proposito mi chiedo se non è ora di cambiare il cartello segnaletico "SARTANO" che è li sforacchiato da pallottole da 20 anni o forse più. La messa in sicurezza degli edifici pubblici, con poarticolare riguardo a quelli adibiti alle scuole; del palazzo Mayerà che ne sarà? Sul terreno acquistato nel Comune di Cerzeto che si ha intenzione di fare? Sull'amianto presente nei capannoni di Serramezzana e Torano S. è prevedibile un interessamento presso l'attuale proprietà e gli organi competenti per la bonifica?
Resto comunque fiducioso in un interessamento, ma l'anno prossimo non vorrei riascoltare il refrain della canzone "L'anno che verrà" di Lucio Dalla.
mercoledì 28 ottobre 2009
sabato 24 ottobre 2009
Ultima Fermata
SOLO CON FRANCESCHINI IL PD SOPRAVVIVERÀ
Dario rappresenta meglio di tutti il partito plurale 'Franceschini è l'unico candidato che possa garantire davvero la sopravvivenza del Pd'; lo scrive Piero Fassino al Foglio.it e al blog Cerazade di Claudio Cerasa, speigando percheè non ha sostenuto Bersani.
'Fin dall'inizio del percorso congressuale del PD - ricorda Fassino - ho scelto di sostenere la riconferma di Dario Franceschini perché meglio di tutti rappresenta quel Partito Democratico, casa comune dei riformisti italiani, che abbiamo voluto plurale, fondato sull'incontro, la fusione, l'intreccio delle esperienze di donne e uomini provenienti da storie e culture diverse. Trasformare la elezione del Segretario del PD in una competizione tra ex DS e ex Margherita ci farebbe tornare indietro di anni e pregiudicherebbe il progetto stesso del Pd'.
'Per questo - prosegue Fassino - mi ha stupito che Pier Luigi Bersani si sia dichiarato 'deluso' dal mio mancato sostegno. Lo comprendo sul piano affettivo. Non sul piano politico perché grazie alla scelta mia e di tanti di andare oltre le appartenenze d'origine, chiunque sarà eletto sarà il Segretario di tutti, scongiurando il rischio di separazioni. Certo, la scelta che ho compiuto non è stata facile e ringrazio Romano Prodi di averlo voluto riconoscere. Ma mi conforta constatare che è stata una scelta condivisa da molti'. Fassino si dichiara poi favorevole alle primarie, 'che non sono una stravaganza contro natura, come sostengono molti bersaniani ('il segretario lo devono eleggere solo gli iscritti'). Un tempo votavi per la prima volta a vent'anni e quel voto lo confermavi per tutta una vita'; 'oggi un elettore sceglie un partito quando ne condivide la politica, gli obiettivi, i comportamenti. E quando viene meno quella condivisione l'elettore cambia il suo voto'. Inoltre, sottolinea Fassino, 'gli elettori non si accontentano di dare il voto, ma vogliono dire la loro, far pesare la loro voce, far giungere le loro critiche, decidere', come dimostra la partecipazione superiore alle attese ad ogni primaria. 'Il che significa che nelle Primarie gli elettori si riconoscono e le usano'. Quindi, conclude l'ex segretario Ds, 'un moderno partito cammina su due gambe: l'una sono gli iscritti e l'altra sono quei milioni di elettori che votandoci hanno affidato a noi le loro speranze. E noi dobbiamo rendere protagonisti del PD e delle sue scelte iscritti ed elettori'.
giovedì 8 ottobre 2009
I numeri: chi li da, chi non li sa, chi fa finta di non conoscerli e chi li ignora.
I dati statistici dell’ufficio scolastico regionale illustrati dal direttore generale Mercurio Scuola, i numeri del disastro. Ogni anno 6000 studenti in meno, tra cinque anni aule vuote ********************************************************************************** Questo è il titolo dell'articolo pubblicato sul Quotidiano della Calabria di oggi, giovedì 8 ottobre 2009.Nel nostro Comune la querelle del Liceo continua a tenere banco, a fare salti mortali, con un milione di euro stanziati da parte dell'Amministrazione Provinciale per la costruzione di un nuovo edificio. Mi chiedo e chiedo ai sostenitori del Liceo, all'Amministrazione Comunale e quindi all'Assessore competente in materia, fermatevi e riflette, poi riflettete ancora se la scelta è quella che va nella direzione giusta o se non sia il caso di pensare a come cambiare destinazione a quel finanziamento, magari per mettere a norma l'intera edilizia scolastica esistente, carente, a quel che si dice, delle piu elementari norme di sicurezza. Se non fosse possibile utilizzare il finanziamento, non lasciatevi tentare dall'idea di doverli spendere ad ogni costo per un'opera che potrebbe dimostrarsi inutile in futuro. Meditiamo serenamente.
lunedì 5 ottobre 2009
Maurizio Cariati
sabato 3 ottobre 2009
Vergogna-Vergogna-Vergogna
Ileana Argentin, Paola Binetti, Gino Bucchino, Angelo Capodicasa, Enzo Carra, Lucia Coldurelli, Stefano Esposito, Giuseppe Fioroni, Antonio Gaglioni, Dario Ginefra, Oriano Giovanelli, Gero Grassi, Antonio La Forgia, Linda Lanzillotta.
Grazie a questa nobile compagnia, passerete sicuramente alla storia.
martedì 29 settembre 2009
Avviso a Franceschini
PartitoDemocratico.
Il capogruppo regionale ha commentato in maniera molto dura la decisione della Commissione regionale di annullare il congresso di via Popilia. Nicola Adamo minaccia di lasciare il partito.È scontro armato tra i big per aggiudicarsi la leadership d'una sigla che però si allontana dalla gente.
Congresso annullato, tutto da rifare per il Pd di via Popilia. L'ha deciso la commissione regionale spiegando che «il garante ha violato il regolamento che prevede tassativamente che gli iscritti che possono esercitare il voto devono essere tesserati.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Io ho votato la mozione Franceschini, ma se questo signore dovesse rimanere, sarò io a non votare Franceschini, anzi, alle primarie non andrò a votare perchè questo non è il partito nuovo, per cui mi sono battuto fin dalla sua nascita.
domenica 13 settembre 2009
Torano Castello
Nel sito a cielo aperto si trova di tutto: anche rifiuti altamente pericolosi.
Una megadiscarica a Piano Maione inquina l'ambiente e il fiume Salice
E dire che la stessa zona era stata già sequestrata dal Corpo forestale
Gildo Anthony Urlandini
Torano Castello
Mega discarica a cielo aperto, in contrada Piano Maione nel Comune di Torano Castello. I rifiuti stanno avvelenando l'eco-sistema e l'ambiente circostante. Nella discarica c'è di tutto, eternit, pneumatici, carcasse d'auto, elettrodomestici, mobili, mat.....
*******************************************************************************
Non mi si venga a dire che: la discarica non era nota, non è colpa nostra, mo vidimu...................
In nessuno, dico in nessuno, dei programmi elettorali presentati venivano presi in esame, quindi figuriamoci le soluzioni, delle discariche a cielo aperto esistenti nel territorio. Ammesso e non concesso che l'attuale amministrazione non ne fosse a conoscenza, ora che sa, che è informata vuole per favore provvedere a dare una risposta in merito, per quanto riguarda la bonifica e per evitare altre situazioni simili negli anni a venire?
Grazie
sabato 12 settembre 2009
Si scopron le tombe si levano i morti.............
Torano Castello
Resti di lapidi tra i rifiuti trovati sotto il cavalcavia dell'A3
Gildo Anhony Urlandini
Torano Castello
Resti di lapidi sotto il cavalcavia dell'A3 tra i territori di Lattarico e Bisignano. Continua lo scarico di rifiuti sotto il cavalcavia della Salerno-Reggio Calabria, dove passa il torrente Finita, ad appena cinquanta metri dal bivio della ex SS 19 e alla confluenza con il Fiume Crati. Chi vi transita non può non notare i cumuli di rifiuti e di materiali di risulta scaricati sotto il ponte e in prossimità delle acque del torrente.
lunedì 7 settembre 2009
mercoledì 26 agosto 2009
Domande senza risposte.
Lettera di una madre Calabrese.
Mi chiamo Maria Sorrentino, meglio conosciuta come mamma di Federica. Scrivo rivolgendomi al Capo del Governo ed al Ministro della Giustizia per dire che oramai non se ne può più. In Calabria la percentuale di casi di malasanità e' cresciuta in modo esponenziale. E' da 31 mesi e cioè da quando mia figlia entrata in ospedale a Vibo Valentia non fa più ritorno a casa, che ogni qual volta si verifica un caso di malasanità sento le stesse belle parole di circostanza che mi furono dette in quel terribile gennaio 2007. Si faccia subito chiarezza, chi ha sbagliato deve pagare, mai più un'altra Federica. Queste sono le promesse che mi furono fatte dalla politica calabrese all'epoca. E' con infinita amarezza che oggi dico che, a distanza di due anni e mezzo non solo chiarezza non e' stata fatta, non solo chi ha sbagliato conduce una vita serena ed e' libero di esercitare, ma cosa molto triste e' che di altre Federica negli ospedali calabresi ce ne sono state così tante da rischiare di perdere il conto. Così la madre di Federica Monte Leone, la sedicenne morta in ospedale dopo un black-out elettrico in sala operatoria a Vibo Valentia, interviene dopo il decesso della piccola Sara Sarti, 5 anni, morta in ospedale a Locri. Lancio ancora una volta il mio urlo di dolore - aggiunge la signora Maria Sorrentino - diretto all'indirizzo del Governo nazionale. Fermate questo sterminio. E' giunto il momento di disarmare la mano di coloro che solo per il fatto di indossare un camice bianco, tutelati dalla legge dell'impunita', agiscono con grave negligenza al punto che sulla cronaca della Calabria e' ormai diventata consuetudine leggere che nei nostri ospedali si muore più che sull’autostrada. Se poi si aggiunge che si muore per un’appendicite, un gesso troppo stretto, un ascesso tonsillare o una crisi di vomito, si suppone che gli estremi per intervenire ed in fretta ci siano tutti, perché caro Signor Berlusconi, caro Signor Alfano di questo passo a breve in Calabria si conteranno più vittime di malasanità di quante non ne abbia fatte il terremoto d'Abruzzo.
Ragione e sentimento vorrebbero che chiunque in passato, nel presente e nel prossimo futuro hanno avuto-hanno-avranno nelle loro mani il governo della nostra regione si sentissero in dovere di dare una risposta per come intendono risolvere la questione Sanità in Calabria.
Temo che una risposta non arriverà mai, ne da parte di chi c'èra, da parte di chi c'è, da parte di quelli che si preparano ad esserci.
venerdì 21 agosto 2009
giovedì 20 agosto 2009
Iscriviti a:
Post (Atom)