lunedì 6 aprile 2015

Cantastorie

 Una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare
La storia cantata nei mercati e nelle piazze
Il mio incontro con i cantastorie avvenne all'inizio degli anni 60 allorché mio padre, emigrato in Germania per lavoro, in uno dei suoi rientri per le feste natalizie, portò un apparecchio radio, un giradischi e diversi dischi in vinile. Tra questi alcuni riguardavano i cantastorie, di cui ricordo Orazio Strano e Ciccio Busacca. Le loro voci e le loro chitarre hanno fatto da sottofondo alla mia fanciullezza nelle lunghe giornate quando a richiesta del vicinato, a volte, echeggiavano per l’intera giornata in tutto il rione. Avevo imparato a memoria tutte le storie a mia disposizione e nella fantasia le facevo rivivere guardando le scene stampate sulla copertina del disco che riproduceva il cartellone che era adoperato dai cantastorie durante le esibizioni dal vivo. Mettendo da parte i ricordi personali proverò a tracciare un profilo della figura del cantastorie così come si è manifestata nel tempo sino ad arrivare ai nostri giorni. Il cantastorie è una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare, che si spostava nelle piazze e raccontava con il canto una storia antica, spesso rielaborata o riferita ad avvenimenti contemporanei. Si accompagnava con la chitarra, ma a volte anche con la fisarmonica o, in tempi più remoti, con la lira. Si aiutavano con un cartellone, dove era raffigurata la storia, descritta nelle principali scene. La loro opera era remunerata con le offerte degli spettatori o con la vendita di foglietti volanti, dove era descritta la storia. Dopo gli anni 50, con l'avvento del vinile, queste storie erano incise e vendute su dischi, prima a 78 giri, poi 45.
Wikipedia ci ricorda che questa tradizione deriva da lontani precedenti, quali gli aedi e rapsodi greci e i giullari, menestrelli, trovatori o trovieri del Medioevo francese e nella scuola poetica siciliana. Simili figure sono presenti anche nella cultura islamica, indiana e africana. A partire dal XIV secolo si allontanarono dalla letteratura più colta e contribuirono a diffondere in dialetto le gesta dei paladini carolingi della Chanson de geste. Furono appoggiati dalla Chiesa con lo scopo di diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia. Nel 1661 a Palermo i Gesuiti avevano costituito la congregazione degli "Orbi", cantori ciechi a cui veniva insegnato a suonare uno strumento musicale e che erano legati a temi esclusivamente religiosi sotto il controllo ecclesiastico. Anche Giuseppe Pitrè descrisse quest’ultimo fenomeno prevalentemente siciliano annotando: “I sonatori di violino in Sicilia sono quasi tutti ciechi e perciò chiamati per antonomasia orbi… l’orbo nato o divenuto tale nei suoi primi anni di vita, non sapendo cosa fare per vivere, impara da fanciullo a sonare, e non solo a sonare, ma anche a cantare… le molte feste popolari dell’anno gli danno sempre qualche cosa da guadagnare”.
Il periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta del Novecento fu l’epoca di maggior diffusione dei cantastorie, contestualmente crebbe nei loro conronti anche l’interesse degli studiosi che si occupavano di tradizioni popolari e di cultura orale. Roberto Leydi, etnomusicologo, iniziò a occuparsi dei cantastorie sin dai primi anni 50 raccogliendo sul campo i documenti sonori che testimoniano l’opera di questi artisti e la loro diffusione in tutta la Penisola: una mole impressionante di materiali, in particolare 1400 nastri magnetici che sono conservati presso il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona, in Svizzera. Nei suoi studi evidenziò la differenza sostanziale che intercorre tra il cantastorie e gli altri esecutori di musica popolare. “Il cantastorie rielabora il materiale raccolto o lo inventa di sana pianta, prima di proporlo al pubblico, questo lo fa in modo consapevole, ricercando elementi di novità atti a suscitare interesse e gradimento durante l’ascolto”.
In ogni fiera, in ogni sagra di paese, in ogni festa, nelle campagne come in città, questo menestrello portava le sue storie e le sue ballate che potevano, a volte, far ridere ma anche commuovere lo spettatore, e in modo inconsapevole svolgeva un ruolo quasi da giornalista raccontando i fatti di cronaca a un pubblico composto, più che altro, da contadini per lo più analfabeti. La ricerca sul campo ha evidenziato che spesso chi sceglie il mestiere di cantastorie lo fa perché non ha altra scelta o possibilità per vivere. Con riferimento alla definizione di cantastorie gli stessi interessati, con ironia, si dichiarano “… divulgatori di storie in versi talvolta scritte da noi stessi”.
Nello spettacolo di questi artisti, in particolare, se questo avveniva nei mercati o nelle fiere, gli studiosi hanno individuato delle fasi tipiche e ricorrenti: la creazione del treppo (pubblico interessato all’evento), tenuta del treppo, l’imbonimento, la rottura. Per suscitare l’interesse dei potenziali spettatori ogni artista aveva le sue tecniche collaudate, l’abilità consisteva nel far sì che le persone rimanessero sino alla fine dello spettacolo, per questo scopo erano vezzeggiate dal cantastorie, affinché nel momento della “rottura” fossero predisposti e disponibili a dare un’offerta.
Si tratta di una rappresentazione semplice, popolare, anche il tema musicale mantiene questa semplicità ed è basato su pochi accordi e, in genere, le melodie sono orecchiabili, facili da imparare e ricordare a memoria. Il cantastorie è il comunicatore per eccellenza perché la sua arte ha come base gli archetipi della comunicazione: immagini, parole e suoni. Di solito erano loro stessi a scrivere i testi delle storie, ma qualche volta è capitato che dei veri poeti scrivessero i testi di storie diventate poi molto famose. E’ il caso dei poeti Ignazio Buttitta e Turi Bella. Mentre il più famoso disegnatore di cartelloni destinati ai cantastorie fu Vincenzo Astuto. Il primo “Congresso Nazionale dei Cantastorie” si svolse nel 1954 a Bologna nel cortile della trattoria Profeti e vide la presenza di artisti provenienti da diverse regioni. Nel 1957 fu istituito il premio Trovatore d’Italia, e assegnato fino al 1975. Dal 1986 si tiene ogni anno una rassegna di cantastorie a Casalecchio di Reno e a Sant’Arcangelo di Romagna. Di seguito, brevemente, voglio ricordare alcuni nomi di cantastorie che hanno praticato quest’arte con successo. Incominciamo con Orazio Strano, il più famoso cantastorie siciliano, che per primo con Turi Bella scrisse La storia di Salvatore Giuliano re di li briganti. Successivamente scrisse in collaborazione ancora con Turi Bella Peppi Musulinu re di l’Asprumunti. Ciccio Busacca, anche lui siciliano di Paternò, aveva una voce molto potente che sapeva modulare molto bene sia nella parte del canto che nel racconto, fu tra i primi a usare la chitarra elettrica nelle sue registrazione su disco. Lamentu ppi Turiddu Carnevali scritta con Ignazio Buttitta fu una delle sue opere più famose. Partecipò a diversi programmi televisivi e radiofonici e pure lui nel 1957 vinse il premio Trovatore d’Italia istituito in quell’anno, come abbiamo già detto. Otello Profazio è definito il “principe dei cantastorie”: grande studioso di tradizioni popolari con la sua opera ha salvato dall’oblio una quantità notevole di “distici” che altrimenti sarebbero spariti per sempre. Tra le sue opere più importanti e famose ricordiamo: Peppi Musolinu e Qua si campa d’aria, con quest’ultima raggiunse una grande notorietà. Enzo Del Re nel 2010 partecipò al concerto del 1° maggio a Roma presentando i brani Lavorare con lentezza e Tengo ‘na voglia ‘e fa’ niente: la sua caratteristica era quella di usare una sedia di legno che utilizzava come percussione durante le sue esibizioni. Pino Masi fece dell’impegno politico il filo conduttore anche della sua vita artistica, tra le sue opere ricordiamo La ballata di Pinelli. Franco Trincale, siciliano di nascita, svolse principalmente in Lombardia la sua attività. Fino a non molto tempo fa era facile trovarlo in piazza Duomo a Milano a raccontare le sue storie. Poi ancora Vito Santangelo, Turi Di Prima, Leonardo Strano, Giovanni Boldrini, Angelo Brivio, Marino Piazza, Dina Boldrini, Ciccio Rinzino, Angelo Cavallini e la moglie Vincenzina Mellini. Un pensiero speciale va a Rosa Balistreri, grande interprete della musica popolare di tradizione. La sua vita è stata molto dura, tempestata da molte tragedie e da tanta miseria, visse in strada e conobbe anche il carcere. Era una donna con un fisico minuto, ma con una voce straordinaria, potente incisiva, intrisa da una sofferenza quasi dolorosa che a volte si trasformava in un grido di rabbia. La sua opera ha lasciato un segno indelebile nel mondo dei cantastorie e della musica popolare.


Angelo Aquino

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