Una figura tradizionale della letteratura orale e della
cultura popolare
La storia
cantata nei mercati e
nelle piazze
Il mio incontro con i cantastorie avvenne all'inizio degli anni 60 allorché mio padre, emigrato in Germania per lavoro,
in uno dei suoi rientri per le feste natalizie, portò un apparecchio radio, un
giradischi e diversi dischi in vinile. Tra questi alcuni riguardavano i cantastorie,
di cui ricordo Orazio
Strano e Ciccio Busacca. Le loro voci e le loro
chitarre hanno fatto da sottofondo alla mia fanciullezza nelle lunghe giornate
quando a richiesta del vicinato, a volte, echeggiavano per l’intera giornata in
tutto il rione. Avevo imparato a memoria tutte le storie a mia disposizione e
nella fantasia le facevo rivivere guardando le scene stampate sulla copertina del
disco che riproduceva il cartellone che era adoperato dai cantastorie durante
le esibizioni dal vivo. Mettendo da parte i ricordi personali proverò a tracciare
un profilo della figura del cantastorie così come si è manifestata nel tempo
sino ad arrivare ai nostri giorni. Il cantastorie è una figura tradizionale
della letteratura orale e della cultura popolare, che si spostava nelle piazze
e raccontava con il canto una storia antica, spesso rielaborata o riferita ad avvenimenti
contemporanei. Si accompagnava con la chitarra, ma a volte anche con la fisarmonica o, in
tempi più remoti, con la lira. Si aiutavano con un cartellone, dove era
raffigurata la storia, descritta nelle principali scene. La loro opera era
remunerata con le offerte degli spettatori o con la vendita di foglietti
volanti, dove era descritta la storia. Dopo gli anni 50,
con l'avvento del vinile, queste storie erano incise e vendute su dischi, prima
a 78 giri, poi 45.
Wikipedia ci ricorda che questa tradizione deriva da
lontani precedenti, quali gli aedi e rapsodi greci e i giullari, menestrelli, trovatori o trovieri del Medioevo francese e nella scuola poetica siciliana. Simili figure sono presenti anche
nella cultura islamica, indiana e africana. A partire dal XIV secolo si allontanarono dalla letteratura più colta e
contribuirono a diffondere in dialetto le gesta dei paladini carolingi della Chanson
de geste. Furono
appoggiati dalla Chiesa con lo scopo di diffondere presso
il popolo le storie dei santi e della Bibbia. Nel 1661 a Palermo i Gesuiti avevano
costituito la congregazione degli "Orbi", cantori
ciechi a cui veniva insegnato a suonare uno strumento musicale e che erano
legati a temi esclusivamente religiosi sotto il controllo ecclesiastico. Anche
Giuseppe Pitrè descrisse quest’ultimo fenomeno prevalentemente siciliano
annotando: “I sonatori di violino in Sicilia
sono quasi tutti ciechi e perciò chiamati per antonomasia orbi… l’orbo nato o
divenuto tale nei suoi primi anni di vita, non sapendo cosa fare per vivere,
impara da fanciullo a sonare, e non solo a sonare, ma anche a cantare… le molte
feste popolari dell’anno gli danno sempre qualche cosa da guadagnare”.
Il periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta
del Novecento fu l’epoca di maggior diffusione
dei cantastorie, contestualmente crebbe nei loro conronti anche l’interesse
degli studiosi che si occupavano di tradizioni popolari e di cultura orale.
Roberto Leydi, etnomusicologo, iniziò a occuparsi dei cantastorie sin dai primi
anni 50 raccogliendo sul campo i documenti
sonori che testimoniano l’opera di questi artisti e la loro diffusione in tutta
la Penisola :
una mole impressionante di materiali, in particolare 1400
nastri magnetici che sono conservati presso il Centro di dialettologia e di
etnografia di Bellinzona, in Svizzera. Nei suoi studi evidenziò la differenza
sostanziale che intercorre tra il cantastorie e gli altri esecutori di musica
popolare. “Il cantastorie rielabora il materiale raccolto o lo inventa di sana
pianta, prima di proporlo al pubblico, questo lo fa in modo consapevole,
ricercando elementi di novità atti a suscitare interesse e gradimento durante
l’ascolto”.
In ogni fiera, in ogni
sagra di paese, in ogni festa, nelle campagne
come in città, questo menestrello portava le sue storie e le sue ballate che
potevano, a volte, far ridere ma anche commuovere lo spettatore, e in modo
inconsapevole svolgeva un ruolo quasi da giornalista raccontando i fatti di cronaca
a un pubblico composto, più che altro, da
contadini per lo più analfabeti. La ricerca sul campo ha evidenziato che spesso
chi sceglie il mestiere di cantastorie lo fa perché non ha altra scelta o possibilità
per vivere. Con riferimento alla definizione di cantastorie gli stessi
interessati, con ironia, si dichiarano “… divulgatori di storie in versi
talvolta scritte da noi stessi”.
Nello spettacolo di questi artisti, in particolare, se
questo avveniva nei mercati o nelle fiere, gli studiosi hanno individuato delle
fasi tipiche e ricorrenti: la creazione del treppo (pubblico interessato
all’evento), tenuta del treppo, l’imbonimento, la rottura. Per suscitare
l’interesse dei potenziali spettatori ogni artista aveva le sue tecniche
collaudate, l’abilità consisteva nel far sì che
le persone rimanessero sino alla fine dello spettacolo, per questo scopo erano
vezzeggiate dal cantastorie, affinché nel momento della “rottura” fossero predisposti e disponibili a dare un’offerta.
Si tratta di una rappresentazione semplice, popolare,
anche il tema musicale mantiene questa semplicità ed è basato su pochi accordi
e, in genere, le melodie sono orecchiabili,
facili da imparare e ricordare a memoria. Il cantastorie è il comunicatore per
eccellenza perché la sua arte ha come base gli archetipi della comunicazione:
immagini, parole e suoni. Di solito erano loro stessi a scrivere i testi delle
storie, ma qualche volta è capitato che dei veri poeti scrivessero i testi di
storie diventate poi molto famose. E’ il caso dei poeti Ignazio Buttitta e Turi
Bella. Mentre il più famoso disegnatore di cartelloni destinati ai cantastorie
fu Vincenzo Astuto. Il primo “Congresso Nazionale dei Cantastorie” si svolse
nel 1954 a Bologna nel cortile della trattoria Profeti e vide la presenza di
artisti provenienti da diverse regioni. Nel 1957 fu istituito il premio Trovatore d’Italia,
e assegnato fino al 1975. Dal 1986 si tiene ogni anno una rassegna di cantastorie
a Casalecchio di Reno e a Sant’Arcangelo di
Romagna. Di seguito, brevemente, voglio ricordare alcuni nomi di cantastorie
che hanno praticato quest’arte con successo. Incominciamo con Orazio Strano, il più famoso cantastorie siciliano, che per primo con Turi Bella scrisse La storia di Salvatore Giuliano re di li briganti. Successivamente
scrisse in collaborazione ancora con Turi Bella Peppi Musulinu re di l’Asprumunti. Ciccio Busacca, anche lui
siciliano di Paternò, aveva una voce molto potente che sapeva modulare molto
bene sia nella parte del canto che nel racconto,
fu tra i primi a usare la chitarra elettrica nelle sue registrazione su disco. Lamentu ppi Turiddu Carnevali scritta con
Ignazio Buttitta fu una delle sue opere più famose. Partecipò a diversi
programmi televisivi e radiofonici e pure lui nel 1957 vinse il premio Trovatore d’Italia istituito in
quell’anno, come abbiamo già detto. Otello
Profazio è definito il “principe dei cantastorie”: grande studioso di tradizioni popolari con la sua
opera ha salvato dall’oblio una quantità notevole di “distici”
che altrimenti sarebbero spariti per sempre. Tra le sue opere più importanti e
famose ricordiamo: Peppi Musolinu e Qua si campa d’aria,
con quest’ultima raggiunse una grande notorietà. Enzo Del Re nel 2010 partecipò
al concerto del 1° maggio a Roma presentando i brani Lavorare con lentezza e Tengo
‘na voglia ‘e fa’
niente: la
sua caratteristica era quella di usare una sedia di legno che utilizzava come
percussione durante le sue esibizioni. Pino Masi fece dell’impegno politico il
filo conduttore anche della sua vita artistica, tra le sue opere ricordiamo La ballata di Pinelli. Franco Trincale,
siciliano di nascita, svolse principalmente in Lombardia la sua attività. Fino
a non molto tempo fa era facile trovarlo in piazza Duomo a Milano a raccontare
le sue storie. Poi ancora Vito Santangelo, Turi Di Prima, Leonardo Strano,
Giovanni Boldrini, Angelo Brivio, Marino Piazza, Dina Boldrini, Ciccio Rinzino,
Angelo Cavallini e la moglie Vincenzina Mellini. Un pensiero speciale va a Rosa
Balistreri, grande interprete della musica popolare di tradizione. La sua vita
è stata molto dura, tempestata da molte tragedie e da tanta miseria, visse in
strada e conobbe anche il carcere. Era una donna con un fisico minuto, ma con
una voce straordinaria, potente incisiva, intrisa da una sofferenza quasi
dolorosa che a volte si trasformava in un grido di rabbia. La sua opera ha
lasciato un segno indelebile nel mondo dei cantastorie e della musica popolare.
Angelo Aquino
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