lunedì 6 aprile 2015

TEATRO-Dario Fo rappresentato a Bollate
Settimo: ruba un po’ meno
La sera del 9 maggio scorso al teatro della casa di reclusione di Bollate è stata rappresentata l’opera del maestro Dario Fo: “Settimo: ruba un po’ meno”. A portare in scena il lavoro del maestro Fo è stata la compagnia  di artisti “ Bovisateatro” che opera sulla scena milanese da circa dieci anni, come ci ha detto il regista Fernando Villa che ha curato il nuovo allestimento. L’opera era stata scritta cinquant’anni fa, dal maestro e premio Nobel Dario Fo, e racconta la vicenda del possibile trasferimento di un  camposanto dove lavora come becchino una donna (Enea) credulona ed amante della bottiglia che subisce quotidianamente le burle dei suoi colleghi. Questo improbabile trasloco, tra risa e lazzi, da inizio ad una serie di equivoci e di paradossi, che tra incomprensioni, cose dette e non dette, mette in evidenza e smaschera una vera speculazione ed un ricatto messi in atto da funzionari corrotti che cercano di lucrare sui terreni del camposanto, approfittando del proprio ruolo. La commedia si snoda in un crescendo di situazioni esilaranti che il pubblico gradisce tributandogli più di venti applausi a scena aperta. Alla fine l’intervento di “sua Eccellenza”, un potente uomo politico fa sì che lo scandalo venga insabbiato, ed i protagonisti che avevano ordito il malaffare si ritrovano tutti in manicomio con la qualifica di matti. Nel 2013 il direttore artistico della compagnia teatrale Giancarlo Monticelli così motivava la scelta di portare in scena questa commedia: “abbiamo voluto riproporre questo ‘classico’ di Dario Fo per la curiosità di verificare oggi l’attualità sconcertante di un testo che compirà tra poco i cinquant’anni. E abbiamo scoperto anche il piacere di lavorare su un grande esempio di teatro comico”. L’intuizione di Fo sul malcostume, ed in particolare sulle ruberie dei politici, ha avuto la sua conferma reale in modo clamoroso all’inizio degli anni ’90, del secolo scorso, con l’inchiesta “mani pulite”, che ha travolto un’intera classe dirigente ed il suo sistema partitico. Ma non è finita, oltre a tutti gli scandali grandi e piccoli che si sono verificati negli ultimi decenni la cronaca recente ci ha messo di fronte all’ennesimo scandalo, con alcuni dei personaggi che erano già stati inquisiti nel passato. Sembra quasi che le cronache si attengono scrupolosamente al copione del grande maestro e che i personaggi reali sono gli attori inconsapevoli di questa grande farsa. Nel 1977 Dario Fo presentando la ripresa televisiva del suo spettacolo diceva: “… è addirittura stomachevole come la realtà copi l’immaginazione”. Ed ancora nel 2010 in occasione della presentazione del dvd cosi ritornava sull’argomento: “Da allora è cambiato solo il fatto che adesso i nostri governanti, lungi dall’idea di dimettersi se beccati con le mani nel sacco, sono così pieni di spocchia che si sentono intoccabili e al di sopra delle leggi: al punto che, se queste non fanno comodo, zac, con un colpo di mano le trasformano, modificandole su misura, ad personam, come si dice. Insomma i politici della mia commedia erano quasi dei dilettanti, se paragonati a quelli di oggi. Al punto che, se dovessi riscriverla ora, dovrei cambiarle titolo: non più: Settimo: ruba un po’ meno, ma: Per favore: lasciate almeno qualcosa”.
 Angelo Aquino

      

MUSICA E DANZA

Tutta l’energia del canto popolare del Sud
Come ad una sagra di paese si scatena la Malapizzica
Sabato 24 maggio 2014 ore 15,00: La pizzica dentro, pizziche, tammurriate tarantelle del Sud Italia e stage di ballo con i Malapizzica. Così recitava la locandina che annunciava il concerto che si è tenuto nella casa di reclusione di Bollate. Il giorno stabilito sono andato a teatro, prima del concerto ho conosciuto l’addetto alla comunicazione del gruppo, Mariagrazia Santaniello la quale, qualche settimana dopo l’evento, mi ha fatto avere una serie di informazioni che riguardavano il gruppo musicale e la loro storia.
I Malapizzica sono nati a Milano nel 2006, inizialmente per il progetto di realizzare un concerto per Emergency e successivamente per i detenuti nel carcere di S. Vittore. L’amore per la musica tradizionale salentina , campana, e in genere di tutto il Sud d’Italia e il desiderio di trasmettere le energie delle pizziche, tammurriate, saltarelli e tarantelle in direzione di un impegno sociale, è lo spirito che anima il gruppo.
La formazione dei Malapizzica è composta dai musicisti. Rocco Garrapa salentino di Castrignano dei Greci, voce leader, chitarra, armonica a bocca e mandolino; Rosa Maurelli: voce, chitarra battente, tamburi a cornice, tromba, il cuore pulsante della formazione; Carlo Amori: voce e violino, l’ultimo approdo che completa ed arricchisce il sound del gruppo, da sempre nel “giro” delle danze popolari europee; Antonio Ricci: voce, organetto diatonico, chitarra, castagnette, cazou e triccheballacche, posteggiatore e grande interprete della canzone napoletana; Stefania Sforza: canto, chitarra, darbouka, tamburello e castagnette, la ricerca delle armonie nei suoni è il suo principale impegno; Franco Gallerani: al bouzuki, vecchio bluesman e storico accompagnatore di Rocco Garrapa fin dagli anni ’70; Domenico Schiattone: al contrabbasso, foggiano nato a Cantù, specialista nelle tarantelle pugliesi; Luciano Rovelli e Annalisa Campi: alle danze; Stefania Diaferia: fotografia e comunicazione; Mariagrazia Santaniello: comunicazione web e stampa; Matteo Citti: tamburello, percussioni, voce, tromba, che collabora con il gruppo.
Il concerto, sin dall’inizio, è stato coinvolgente e molto bello per varie ragioni. Per prima cosa la musica dei Malapizzica ha proposto i temi e i suoni della più rigorosa tradizione musicale popolare mediterranea, senza stravolgimenti o scorciatoie tipiche di un modernismo frettoloso e banale che il più delle volte ha snaturato e mortificato la bellezza di questa tradizione artistica. I testi dei brani sono molto conosciuti e parlano d’amore, di amicizia, del potere, del mare, della “spartenza”, della festa, della gioia di vivere, della sofferenza e del duro lavoro; cambia solo la lingua di interpretazione. A proposito di lingua il gruppo ha eseguito un brano, di loro composizione, che si può definire un esempio di archeologia linguistica dato che è stato scritto e interpretato in un idioma grecanico di antica memoria che alcune comunità della Puglia e della Calabria ancora parlano e custodiscono con gelosia e che risale ai tempi della Magna Grecia. Man mano che il concerto andava avanti gli spettatori, accogliendo l’invito al ballo (stage di ballo) e non sapendo resistere al richiamo forte della musica, si univano ai ballerini (mastri di ballo) del gruppo e ognuno istintivamente ballava mimando i passi che venivano loro suggeriti. Mi sembrava di essere a una sagra di paese o a un pellegrinaggio dove bastava e basta una zampogna, una chitarra, un organetto, un fischietto di canna per scatenare il ballo della vita per chi ha la possibilità di ballare nel cerchio che, di regola, si forma spontaneamente. Un momento molto partecipato è stato raggiunto quando è stata eseguita una quadriglia che è un ballo di gruppo ereditato probabilmente dalla denominazione francese. Lo spettacolo, ha suscitato in me tante emozioni, mi sono lasciato trasportare dai suoni che nota dopo nota si trasformavano in voci, volti e luoghi, e uno stato d’animo di struggente nostalgia mi ha fatto compagnia anche dopo la fine del concerto. Il ricordo mi ha riportato a rivivere tutte le volte che anch’io mi sono trovato a proporre la stessa musica dei Malapizzica con la stessa passione e intensità, consapevole dell’importanza di quello che stavo facendo e del messaggio che cercavo di trasmettere: una musica che attraverso il tempo era giunta sino a me ed la storia delle mie radici. Mentre tornavo al mio reparto pieno della musica che avevo ascoltato una voce femminile che conoscevo bene mi disse: “Piglia, piglia… piglia sa catarra ca cantamu nu stornellu” (Prendi, prendi… prendi la chitarra che cantiamo uno stornello), era mia madre. Una voce maschile suggerì: “Canta… Amuri ca ppì tia passu lu mari, e tu nun passi nu iumi ppì mia” (Amore che per te attraverso il mare ma tu non attraversi neanche un fiume per me) era mio padre. La voce femminile, dopo l’attacco della chitarra cantò: “Parti littira mia parti e camina, va mi lu trova chiru caru amuri…”, (Parti lettera mia parti e cammina, vai a trovare quel mio caro amore)… Grazie Malapizzica per il bel regalo che ci avete fatto.
Angelo Aquino           

   

Riflessioni

Il ricordo è il pane per costruire il futuro
Luoghi e tempi della memoria.  
Per luoghi e tempi della memoria s’intendono tutti i posti fisici e gli spazi temporali che sono stati gli scenari della nostra avventura umana. Ricorrono spesso nei nostri pensieri, in forma di ricordi che sono selezionati dalla nostra mente e diventano i punti di riferimento essenziali della nostra esistenza. Questi luoghi e questi tempi, il più delle volte, si presentano a noi in modo iconografico, vere immagini fotografiche, un po’ “ mosse”, che richiedono, da parte nostra, una “messa a fuoco”. Catturata bene la scena, la nostra memoria opera una serie di aggiustamenti, le immagini prendono forme più sicure e pian piano si animano e si materializzano in: volti, gesti, parole, suoni, colori, odori, sapori e tante altre cose che si percepiscono e si depositano nel nostro cervello, che sempre vigile le cattura e le archivia in modo automatico, pronte per essere rivisitate e riviste in qualche altra occasione. La casa natale, la città in cui si è vissuto, i posti delle vacanze, la sede dove si svolse il proprio lavoro sono i luoghi che ricompaiono più frequentemente dal nostro passato. Mentre gli spazi temporali riguardano i vari periodi della nostra vita: l’infanzia, la fanciullezza, l’adolescenza, la gioventù, la maturità e la vecchiaia. Tante volte capita che anche se siamo occupati a fare altre cose la mente pesca nel pozzo della memoria, apre l’album delle immagini, e ci impone a seguire ed a pensare alle cose che in quel momento vengono sottoposte alla nostra attenzione, tutto ciò avviene in modo inconscio. Altre volte i “sentieri” della memoria sono stretti, angusti, difficoltosi, somigliano a ripide salite o a precipitose discese, oppure, talvolta a radure e pianori più sicuri,  ma evocano sempre il cammino del nostro apprendistato, nel difficile “mestiere di vivere”. Le questioni che sono state affrontate poc’anzi prendono in considerazione aspetti del problema “memoria” che coinvolge, con modalità varie, l’individuo, il suo vissuto attraverso il ricordo che è di tipo soggettivo. L’argomento, in ogni caso, presenta altri aspetti e altre variazioni che vanno al di là di questa dimensione personale, ci si riferisce a quella che possiamo definire “memoria collettiva” che prende forma e  si manifesta sempre attraverso il ricordo personale ma poi travalica quest’ambito individuale e coinvolge gruppi sociali più o meno grandi ed a volte intere comunità. Questa memoria collettiva non è la storia con la S maiuscola che finisce sui libri raccontando ed annotando i fatti più importanti di un popolo e di una nazione. Nel nostro caso ci si riferisce al ricordo comune che è rievocato da più individui e, a volte, serve a indicare, rilevare un comportamento che può essere ricondotto alla sfera del bene e del male, ponendo l’accento su situazioni che, talvolta, trovano spazio nei proverbi, nei modi di dire tipici di una determinata zona geografica, che si tramandano, generalmente, in modo orale. La “memoria collettiva” quasi sempre ha origine da fatti realmente accaduti, ma qualche volta si basa su cose totalmente inventate. Nel passato i luoghi in cui nascevano e si consolidavano queste “storie minime” erano le vecchie botteghe   artigiane, il salone del barbiere, le osterie, ma principalmente le piazze di ogni contrada e paese. Oggi tutto è cambiato, la radio, la televisione, il telefono, internet hanno modificato le modalità della comunicazione tra gli individui ed anche tra i gruppi sociali. Tutto quello che accade e viene proposto diventa velocemente passato e con la stessa rapidità subito dimenticato. In particolare la televisione opera in modo da dare, specie nei programmi di informazione, notizie sensazionali pur di catturare l’attenzione dello spettatore, lasciando poco spazio agli approfondimenti ed alle riflessioni. Adesso sono i social network che veicolano notizie ed informazioni, influenzando milioni di utenti sparsi in tutto il mondo. Questo sistema comunicativo tende a creare, di regola, anch’esso la “memoria collettiva” ma si tratta di una “memoria collettiva” breve che non si stratifica, non decanta, non affonda le  radici  nell’immaginario collettivo comune e presto si disperde senza lasciare traccia. Al contrario il sistema dei social network agisce sugli individui come se fosse uno strumento insostituibile, un mezzo di comunicazione di cui nessuno può più fare a meno, al punto tale da creare, tra chi lo usa in modo spropositato, pericolose dipendenze. Dopo le considerazioni di carattere generale è utile fare riferimento, di nuovo, alla memoria individuale, riportando alcune delle modalità più comuni che attivano il ricordo . Probabilmente, ad ognuno di noi, sarà capitato di ascoltare un vecchio brano musicale, in circostanze del tutto casuali. Appena la musica viene percepita dall’udito, la mente, in un  attimo si mette in moto e ricostruisce un mosaico che ci riporta in uno spazio-tempo del nostro passato, mettendo in evidenza tanti particolari che stimolano tutti i nostri sensi,in modo preciso, fino a farci rivivere di nuovo quel determinato avvenimento della nostra vita vissuta. La nostra memoria è lo strumento che attraverso lo spartito dei ricordi suona la colonna sonora della nostra vita. Il ricordo diviene pian piano nutrimento solido, pane, per affrontare consapevolmente il futuro.
Angelo Aquino



Cantastorie

 Una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare
La storia cantata nei mercati e nelle piazze
Il mio incontro con i cantastorie avvenne all'inizio degli anni 60 allorché mio padre, emigrato in Germania per lavoro, in uno dei suoi rientri per le feste natalizie, portò un apparecchio radio, un giradischi e diversi dischi in vinile. Tra questi alcuni riguardavano i cantastorie, di cui ricordo Orazio Strano e Ciccio Busacca. Le loro voci e le loro chitarre hanno fatto da sottofondo alla mia fanciullezza nelle lunghe giornate quando a richiesta del vicinato, a volte, echeggiavano per l’intera giornata in tutto il rione. Avevo imparato a memoria tutte le storie a mia disposizione e nella fantasia le facevo rivivere guardando le scene stampate sulla copertina del disco che riproduceva il cartellone che era adoperato dai cantastorie durante le esibizioni dal vivo. Mettendo da parte i ricordi personali proverò a tracciare un profilo della figura del cantastorie così come si è manifestata nel tempo sino ad arrivare ai nostri giorni. Il cantastorie è una figura tradizionale della letteratura orale e della cultura popolare, che si spostava nelle piazze e raccontava con il canto una storia antica, spesso rielaborata o riferita ad avvenimenti contemporanei. Si accompagnava con la chitarra, ma a volte anche con la fisarmonica o, in tempi più remoti, con la lira. Si aiutavano con un cartellone, dove era raffigurata la storia, descritta nelle principali scene. La loro opera era remunerata con le offerte degli spettatori o con la vendita di foglietti volanti, dove era descritta la storia. Dopo gli anni 50, con l'avvento del vinile, queste storie erano incise e vendute su dischi, prima a 78 giri, poi 45.
Wikipedia ci ricorda che questa tradizione deriva da lontani precedenti, quali gli aedi e rapsodi greci e i giullari, menestrelli, trovatori o trovieri del Medioevo francese e nella scuola poetica siciliana. Simili figure sono presenti anche nella cultura islamica, indiana e africana. A partire dal XIV secolo si allontanarono dalla letteratura più colta e contribuirono a diffondere in dialetto le gesta dei paladini carolingi della Chanson de geste. Furono appoggiati dalla Chiesa con lo scopo di diffondere presso il popolo le storie dei santi e della Bibbia. Nel 1661 a Palermo i Gesuiti avevano costituito la congregazione degli "Orbi", cantori ciechi a cui veniva insegnato a suonare uno strumento musicale e che erano legati a temi esclusivamente religiosi sotto il controllo ecclesiastico. Anche Giuseppe Pitrè descrisse quest’ultimo fenomeno prevalentemente siciliano annotando: “I sonatori di violino in Sicilia sono quasi tutti ciechi e perciò chiamati per antonomasia orbi… l’orbo nato o divenuto tale nei suoi primi anni di vita, non sapendo cosa fare per vivere, impara da fanciullo a sonare, e non solo a sonare, ma anche a cantare… le molte feste popolari dell’anno gli danno sempre qualche cosa da guadagnare”.
Il periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta del Novecento fu l’epoca di maggior diffusione dei cantastorie, contestualmente crebbe nei loro conronti anche l’interesse degli studiosi che si occupavano di tradizioni popolari e di cultura orale. Roberto Leydi, etnomusicologo, iniziò a occuparsi dei cantastorie sin dai primi anni 50 raccogliendo sul campo i documenti sonori che testimoniano l’opera di questi artisti e la loro diffusione in tutta la Penisola: una mole impressionante di materiali, in particolare 1400 nastri magnetici che sono conservati presso il Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona, in Svizzera. Nei suoi studi evidenziò la differenza sostanziale che intercorre tra il cantastorie e gli altri esecutori di musica popolare. “Il cantastorie rielabora il materiale raccolto o lo inventa di sana pianta, prima di proporlo al pubblico, questo lo fa in modo consapevole, ricercando elementi di novità atti a suscitare interesse e gradimento durante l’ascolto”.
In ogni fiera, in ogni sagra di paese, in ogni festa, nelle campagne come in città, questo menestrello portava le sue storie e le sue ballate che potevano, a volte, far ridere ma anche commuovere lo spettatore, e in modo inconsapevole svolgeva un ruolo quasi da giornalista raccontando i fatti di cronaca a un pubblico composto, più che altro, da contadini per lo più analfabeti. La ricerca sul campo ha evidenziato che spesso chi sceglie il mestiere di cantastorie lo fa perché non ha altra scelta o possibilità per vivere. Con riferimento alla definizione di cantastorie gli stessi interessati, con ironia, si dichiarano “… divulgatori di storie in versi talvolta scritte da noi stessi”.
Nello spettacolo di questi artisti, in particolare, se questo avveniva nei mercati o nelle fiere, gli studiosi hanno individuato delle fasi tipiche e ricorrenti: la creazione del treppo (pubblico interessato all’evento), tenuta del treppo, l’imbonimento, la rottura. Per suscitare l’interesse dei potenziali spettatori ogni artista aveva le sue tecniche collaudate, l’abilità consisteva nel far sì che le persone rimanessero sino alla fine dello spettacolo, per questo scopo erano vezzeggiate dal cantastorie, affinché nel momento della “rottura” fossero predisposti e disponibili a dare un’offerta.
Si tratta di una rappresentazione semplice, popolare, anche il tema musicale mantiene questa semplicità ed è basato su pochi accordi e, in genere, le melodie sono orecchiabili, facili da imparare e ricordare a memoria. Il cantastorie è il comunicatore per eccellenza perché la sua arte ha come base gli archetipi della comunicazione: immagini, parole e suoni. Di solito erano loro stessi a scrivere i testi delle storie, ma qualche volta è capitato che dei veri poeti scrivessero i testi di storie diventate poi molto famose. E’ il caso dei poeti Ignazio Buttitta e Turi Bella. Mentre il più famoso disegnatore di cartelloni destinati ai cantastorie fu Vincenzo Astuto. Il primo “Congresso Nazionale dei Cantastorie” si svolse nel 1954 a Bologna nel cortile della trattoria Profeti e vide la presenza di artisti provenienti da diverse regioni. Nel 1957 fu istituito il premio Trovatore d’Italia, e assegnato fino al 1975. Dal 1986 si tiene ogni anno una rassegna di cantastorie a Casalecchio di Reno e a Sant’Arcangelo di Romagna. Di seguito, brevemente, voglio ricordare alcuni nomi di cantastorie che hanno praticato quest’arte con successo. Incominciamo con Orazio Strano, il più famoso cantastorie siciliano, che per primo con Turi Bella scrisse La storia di Salvatore Giuliano re di li briganti. Successivamente scrisse in collaborazione ancora con Turi Bella Peppi Musulinu re di l’Asprumunti. Ciccio Busacca, anche lui siciliano di Paternò, aveva una voce molto potente che sapeva modulare molto bene sia nella parte del canto che nel racconto, fu tra i primi a usare la chitarra elettrica nelle sue registrazione su disco. Lamentu ppi Turiddu Carnevali scritta con Ignazio Buttitta fu una delle sue opere più famose. Partecipò a diversi programmi televisivi e radiofonici e pure lui nel 1957 vinse il premio Trovatore d’Italia istituito in quell’anno, come abbiamo già detto. Otello Profazio è definito il “principe dei cantastorie”: grande studioso di tradizioni popolari con la sua opera ha salvato dall’oblio una quantità notevole di “distici” che altrimenti sarebbero spariti per sempre. Tra le sue opere più importanti e famose ricordiamo: Peppi Musolinu e Qua si campa d’aria, con quest’ultima raggiunse una grande notorietà. Enzo Del Re nel 2010 partecipò al concerto del 1° maggio a Roma presentando i brani Lavorare con lentezza e Tengo ‘na voglia ‘e fa’ niente: la sua caratteristica era quella di usare una sedia di legno che utilizzava come percussione durante le sue esibizioni. Pino Masi fece dell’impegno politico il filo conduttore anche della sua vita artistica, tra le sue opere ricordiamo La ballata di Pinelli. Franco Trincale, siciliano di nascita, svolse principalmente in Lombardia la sua attività. Fino a non molto tempo fa era facile trovarlo in piazza Duomo a Milano a raccontare le sue storie. Poi ancora Vito Santangelo, Turi Di Prima, Leonardo Strano, Giovanni Boldrini, Angelo Brivio, Marino Piazza, Dina Boldrini, Ciccio Rinzino, Angelo Cavallini e la moglie Vincenzina Mellini. Un pensiero speciale va a Rosa Balistreri, grande interprete della musica popolare di tradizione. La sua vita è stata molto dura, tempestata da molte tragedie e da tanta miseria, visse in strada e conobbe anche il carcere. Era una donna con un fisico minuto, ma con una voce straordinaria, potente incisiva, intrisa da una sofferenza quasi dolorosa che a volte si trasformava in un grido di rabbia. La sua opera ha lasciato un segno indelebile nel mondo dei cantastorie e della musica popolare.


Angelo Aquino

domenica 8 marzo 2015

Partu e nun partu

Partu e nun partu
e nnu bbulija partiri
'su cori mija 
'un si po licenzijari.

Si partu,ojh, bella
ti lu lassu dittu
di porti e di
finestri 'un t'affacciari.

Si passa quarchi
bellu giuvinottu,
tu vascia l'uocchj
e nun lu ri(s)guardari.

Quannu ritornu
ti portirò alla tara
s'uocchj chi cianginu
un giornu riderannu.

domenica 15 febbraio 2015

Smemorandum

Raccolta(non completa) dei toponimi conosciuti afferenti le terre ed i luoghi di Sartano



Acchifietina*-Acquafridda-Acqualidonni-Barcu(Varcu)

Carcara*-Carpani-Casiddhruni-Casinu-Castagneddhri-Cerzi-Chilla-Chjana(i)-Chjantata-Chjanu majuni-Chjusa(i)-Ciaramilaru*-Cîevuzi-Cimithriju-Cisini-Cornicedhra(i)-Cota-Coticedhra-Culumbra*-Cûomi*-Cuozzi'cuorivi(Cuozzilicuorivi)

Desthra(Djesthru)-Dominicîeddhru-DonnaFrancisca^(DonnuFranciscu)

Farina-Ficazzana

Jardinu

Lishki*-Lorcijacuni(Larcijacuni)-Lucciu-L'uortu§-L'uortu i San'Mbrangiscu§-L'uortu i SannuMinicu§

Macchj-Manga u cirasu*-Mangaforti-Mancaredhra-Mancu-Marruni-Marsali-'nparu i Tonnu-Mîennula* Murgia

Nuciddhra

Pagulitani(Paulitani)-Pezzi*-Piritanu*-Pirrîedhru*-Piscitîedhru-Pithrini*

Rusini*-Ruvîettu^

Salici-Salirizzu-SandaNicola-Sarminzanu-Sciodhra i (Putigljesu-Da Milajina-etc)-Scipparîeddhru-Sutt'i fratti§-Sutt'u sîeggiu§-Sutt'u suppûortu§

Timba-Turanisi-Turuvulu*-Vaddhr'i maloma-Vadhr'u suorivu-Varaniettu-Vigna-Vigninovi-Visciglieddhri

Vivieriju^-Voti*Vudddrhu*

*Toponimi vicinori, conosciuti e frequentati dai Sartanesi per lavori stagionali. 
^Toponimi riferiti alle  fonti d'acqua comuni
§Toponinmi riferiti  a luoghi dell'abitato o immediate vicinanze(oggi quasi tutti edificati)

Suggerimenti ed inserimenti sono ben accetti.


domenica 25 gennaio 2015

mercoledì 7 gennaio 2015

Filastrocche

E pinne  
       e pinne
              e pinne
quantu 'stanu 'nu paru di minni?
Si su di shkettuliddra
pagaccelli quanto vod'iddra,
si su di maritata
quattru sordi cari pagati.
E pinne  
       e pinne
              e pinne

sabato 31 dicembre 2011

Auguri

Buona Pasqua
di 
Resurrezione


Ogni giorno nasce e muore qualcosa in ognuno di noi,
ogni giorno il sole nasce e tramonta,
ogni giorno nascono nuovi amori
ogni giorno qualcuno muore
ogni giorno  la vita
risorge dentro
di noi.



mercoledì 7 dicembre 2011

La festa di San Nicola a Sartano



Santu Nicola miu da Bari
prutitturi di questo regnu,
pruteggili li massari
e ri nostri nicissità.
Si povari anglioletti 
chi tien'a ttia davanti,
'su povari orfanelli
e faccela la carità.

Questo è il canto processionale che viene intonato dalle donne in onore di San Nicola.


martedì 22 novembre 2011

Villa Torano: NO COMMENT


Torano Castello
Carabinieri  a Villa Torano.
Nella struttura residenziale assistenziale arrivano i carabinieri chiamati dai dipendenti che sono sul piede di guerra con i vertici della struttura per i mancati pagamenti degli stipendi di settembre e ottobre.  La protesta sale ancora di più, perchè poco tempo fa, nonostante l’intervento del sindacato della CGIL e della COSNIL, i dipendenti vantano ancora e reclamati con decreto ingiuntivo il pagamento di altre mensilità che vanno da gennaio ad agosto del 2011.
Ieri davanti Villa Torano l’ennesima agitazione del personale dipendente della struttura che sperava di vedersi pagato quanto dovuto dalla direzione di Villa Torano, ma l’attesa è stata vana, in quanto dall’amministrazione, per come hanno riferito i dipendenti e le categorie sindacali CGIL e COSNIL attraverso i segretari provinciali Sciolino e De Luca, è arrivata la notizia che, ai dipendenti che avevano ingiunto il pagamento tramite decreto, non sarebbero stati pagati gli arretrati da gennaio ad agosto, ma non sarebbero stati pagati neanche gli stipendi di settembre e ottobre, perché l’amministrazione sta cercando una trattativa con i legali dei dipendenti reclamanti il dovuto. La CGIL  attraverso la segretaria provinciale , Franca Sciolino, precisano che:” non siamo stati invitati alla trattativa ne come categoria sindacale e ne gli avvocati del sindacato sono stati invitati, ci chiediamo con quali avvocati gli amministratori stanno trattando. Inoltre questa situazione va vanti da tempo, è non  è sostenibile che un datore di lavoro non paghi le mensilità di settembre e ottobre che non sono state chieste tramite decreto ingiuntivo. La cosa più grave è la disparità di trattamento tra i dipendenti, perché sono al di fuori dal decreto, in quanto nei decreti ingiuntivi non  vengono menzionati settembre e ottobre. Inoltre abbiamo già chiesto al Prefetto un incontro sul tema sanità, per trovare una soluzione per il pagamento, altrimenti se non arriva nessuna risposta organizzeremo scioperi ad oltranza”.
Pare che, nella concitazione, ai dipendenti sia stato detto da persona  estranea alla struttura che i loro stipendi non sarebbero stati pagati, non è la prima volta che questa persona riferisce ciò ai dipendenti, ma pare che sia successo altre volte, sempre in merito alla vicenda stipendi ed acconti infiniti. Alla manifestazione dei dipendenti sono arrivati anche i carabinieri e i media, giornali e televisioni. Come finirà la vicenda dei poveri ma dignitosi ed onesti  dipendenti di Villa Torano. Intanto la protesta continua, mentre ci sono famiglie in difficoltà.
Gildo Anthony Urlandini

sabato 15 ottobre 2011

Noi l'avevamo detto.


Il Palazzo Mayerà non è più in vendita. Il Comune lo esclude dal piano dei beni alienabili

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TORANO CASTELLO - L’antico Palazzo Mayerà che sorge in Piazza Duomo, a Sartano, non sarà più venduto. Il consiglio comunale, a maggioranza, nell’ultima riunione, ha approvato la modifica della deliberazione consiliare n. 15 del 30 giugno scorso
 inerente alla ricognizione degli immobili di proprietà dell’ente municipale suscettibili di alienazione e/o valorizzazione. Il fatiscente edificio, risalente secondo lo storico Ottavio Cavalcanti al Quattrocento e che nonostante numerosi e radicali interventi mantiene ancora “straordinari” ambienti addirittura di epoca precedente, era stato solo inserito, per la prima volta, nel piano di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare allegato al Bilancio di Previsione 2011. Per il palazzo nobiliare tra i più antichi della storia del territorio, acquistato dal Comune nel 2004, infatti, non erano stati indetti bandi per la vendita. L’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Sabatino Cariati, “per sopraggiunte esigenze” ha così deciso di non dismettere più il vecchio palazzo che sorge nel cuore della popolosa frazione sartanese. Il Palazzo Mayerà, classificato come patrimonio disponibile ed il cui valore era stato stimato in 320 mila euro, sarà inserito come oggetto di finanziamento nei bandi della programmazione regionale e comunitaria. L’esecutivo del sindaco Cariati intende realizzare a Palazzo Mayerà un museo multietnico, partendo dai principi che hanno ispirato la vita di un ambasciatore, Franco Micieli De Biase (un uomo di immensa cultura che visse a Torano e che dopo la sua morte ha lasciato al Comune la sua casa e circa cinquemila libri) che aveva un rispetto profondo per le tradizioni dei poli che visitava, “dedicando ogni anno una manifestazione a una nazione diversa - ha spiegato qualche mese fa lo stesso primo cittadino - e attivando con essa scambi culturali e favorendo la valorizzazione dei prodotti tipici”.  Un intervento per la cui realizzazione servirebbe oltre un milione di euro da reperire, appunto, grazie a bandi regionali e comunitari. Nessuna alienazione o dismissione anche per i terreni di località “Li Destri”, ubicati nel Comune di Cerzeto, dal valore stimato di 280 mila euro poiché” saranno inseriti nella progettualità del nuovo sistema acquedottistico comunale - si legge nella delibera consiliare - da integrare con il nuovo progetto della Sorical di prossimo realizzo”.
Compiacimento per l’esclusione dall’elenco di beni suscettibili di alienazione e/o valorizzazione di Palazzo Mayerà (“l’unico bene culturale assieme alla chiesetta di S. Nicola rimasto a Sartano”) era stato espresso dai consiglieri di minoranza Lucio Franco Raimondo, Franco Cavalcante e Vincenzo Cori in un emendamento proposto al consiglio comunale e respinto a maggioranza inerente alla correzione in aumento dei valori stimati per Villa Torano, Villa Rosa e Cava Marruni-Salirizzo , riferiti a perizie estimative già presenti agli atti del Comune.  Riguardo all’esclusione dai beni in vendita dei terreni di località “Li Destri”, i tre consiglieri di opposizione hanno evidenziato che “la volontà della maggioranza di rendere fruttifero il bene poteva essere effettuata anche con la permanenza del terreno nell’elenco”.

martedì 4 ottobre 2011

Il maestro dell'anamorfismo tridimensionale


Il maestro dell'anamorfismo tridimensionale 
Gildo Anthony Urlandini
Il giovane maestro di pittura Maurizio Cariati, sartanese doc, tra gli artisti calabresi più apprezzati a Milano e in Italia.
Partire da un paesino della Calabria per diventare un artista di fama in quel di Milano, è la storia del ventottenne Maurizio Cariati eclettico rappresentante dell'anamorfismo tridimensionale.
Il suo estro e la sua fantasia pittorica, hanno richiamato nella sua casa milanese una delegazione di manager, accompagnati da Peppino De Rose, esperto di politiche e programmi dell'Unione Europea.
Il giovane artista ha mostrato e descritto le sue ultime opere tra cui gli inediti che presenterà nelle prossime mostre. Ed ecco i volti disegnati, gli sguardi, le "smorfie somatiche" in tutta la sua totalità e tridimensionalità. Sono figure, più precisamente presenze materiche, quelle che Maurizio Cariati ha immaginato, immortalato e poi creato. L'artista mette in atto una sorta di gioco tra spettatore e opera in cui, grazie all'anamorfismo, chi osserva la tela viene coinvolto non solo visivamente, ma invitato ad avvicinarsi al lavoro per constatarne la tridimensionalità. Una tecnica di deformazione e dilatazione della materia, che ha radici lontane e antecedenti illustri come il Parmigianino.
Opere apparentemente ironiche, ma che in realtà nascondono le follie e le tante piccole o grandi monomanie che condizionano l'esistenza umana. Dopo gli studi presso l'istituto d'arte di Castrovillari, e l'Accademia di Belle Arti di Catanzaro, Maurizio Cariati, all'età di 22 anni, ancora studente, allestisce una bi-personale con l'artista Mario Loprete a Catanzaro. Nello stesso anno vince il Premio Celeste nella categoria studenti. Nel 2008 è presente nel Chiostrino Sant'Eufemia di Como. Nello stesso anno, allestisce la sua prima personale a Milano dal titolo "Ma che faccia da.!" presso la Galleria Glauco Cavaciuti. Nel 2010 presenta un ciclo di nuove opere su juta nera presso la Galleria GiaMaArt Studio di Vitulano (BN), accompagnato da un pezzo critico di Lorenzo Canova. Nel 2011 una bi-personale con l'artista Marco Grassi alla Loft Gallery a Corigliano Calabro (CS). Tra le rassegne a cui ha partecipato in spazi pubblici e privati, citiamo: Mare Nero", Barriera Albertina, Novara."Biennale di Benevento" al Museo d'Arte Contemporanea del Sannio; e al Premio Internazionale "Limen Arte" al Palazzo Comunale E.Gagliardi di Vibo Valentia. "Le Meduse", Fabbrica del Vapore, Milano. "Finestra sulla Pittura Italiana", al consolato Italiano di Londra. Successivamente ha esposto, tra gli altri, nel Palazzo della Permanente e nel Palazzo Mezzanotte a Milano, Castello Estense a Ferrara, nella Villa Subaglio a Merate, al Palazzo San Bernardino di Rossano, al Palazzo dei Cartelloni e al Museo Marino Marini a Firenze.